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COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO

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Dal Vangelo secondo Giovanni

Gv 16,12-15


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:

«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.

Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.

Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

“Lo Spirito vi annuncerà le cose future”: ci sono forse cose che ancora non ci sono state rivelate? Il messaggio del Vangelo dev’essere ancora ‘integrato’ dallo Spirito Santo che strada facendo scoprirà tutte le carte di Dio? Niente di tutto questo!

Nel Vangelo c’è tutta la rivelazione. Siamo noi che abbiamo bisogno di capirlo meglio e soprattutto di accoglierlo fino in fondo.

Senza lo Spirito di verità, sembra dire Gesù, “non siete capaci di portarne il peso”.


Cos’è che di tanto pesante non siamo capaci di portare da soli?

Chiaro: il peso, la gravità della croce! Non c’è ragionamento umano che possa convincerci dell’efficacia di questo mistero, che diventa salvezza, dunque vita, attraverso il dolore e la morte. Ed è comprensibile.


Cos’è allora che fa lo Spirito?

Ci aiuta a intrecciare con sapienza l’efficacia della morte di Cristo con la potenza della sua risurrezione. A noi che siamo incollati nella terra di ciò che vediamo e patiamo – e la morte la vediamo ogni giorno e la soffriamo in modo indicibile! – lo Spirito suggerisce una visione piena del mistero che ci avvolge.


Questa è la nostra fede: Cristo è morto e risorto!

Attorno a questo annuncio ci giochiamo tutto.

Ma, a ben guardare, nel nostro tempo siamo come attraversati da una crisi che denuncia ancora una volta come “non siamo capaci di portare il peso” ma anche il potenziale di questo mistero. È come se silenziosamente venissero meno, giorno dopo giorno, le certezze su cui si regge la nostra fede:

  • che Gesù Cristo è vivente, ed è qui in mezzo a noi, dopo aver vinto la morte;

  • che la morte non è la fine di tutto, ma un esodo verso una terra nuova dove “non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno” (Ap 21,4);

  • che siamo figli ed eredi di Dio;

  • e che niente di tutto questo è solo una pia illusione.


Non che ci manchi la dirittura morale o il gusto per alti ideali: è l’humus che sembra essersi inaridito. E l’humus è ciò che rende davvero fecondo ogni nostro desiderio di bene.

L’humus è la fede e Cristo ne è il centro, il principio e la fine. Se non ci riappropriamo delle nostre radici, dalla nudità della croce alla pietra rotolata via dal sepolcro, saremo perennemente come quei viandanti delusi che si lamentano tristi lungo la via desolata di Emmaus: “Noi speravamo, ma…”.


Forse ci farà bene oggi ripetere al cuore le parole che il Risorto rivolse proprio a loro, che erano sgattaiolati via da Gerusalemme dopo la sua morte: "Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino? Stolti e lenti di cuore a credere! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24,17.26)


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  • Immagine del redattoreComunità dell'Eremo

Dal Vangelo secondo Giovanni

Gv 16,5-11

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:

«Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore.

Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi.

E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato».

 

Possiamo solo immaginare il turbamento e la tristezza provata dai discepoli all’annuncio della partenza del loro Maestro da questo mondo. Una tristezza che, a comprendere bene il testo originale, non è solo la mestizia di chi sta affrontando un lutto imminente e si sente assalire da un’angoscia profonda.

C’è di più: è la solitudine che si prova nel percepirsi in qualche modo “fuori dal mondo”, con un altro modo di vedere le cose, di pensare, di amare, di vivere insomma. Un mondo illuminato dalla luce del Vangelo, in contrapposizione alle tenebre di un mondo che rifiuta Cristo, se ne disinteressa o è semplicemente tiepido e banale nelle cose che riguardano Dio.


Ecco: i discepoli di Gesù, che si sentono fuori dal mondo hanno, al contempo, la consapevolezza di dovervi rimanere affrontando l’ostilità, lo spregio, l’odio, l’incomprensione di coloro che invece dentro la logica del mondo ci sguazzano sentendosi a loro agio.


Dentro questo tritacarne, è normale che chi segue Cristo inevitabilmente soffra anche una grande solitudine. Che può diventare un banco di prova per la sua fede. Sì perché può capitare che “quelli del mondo”, mal sopportando le scelte dei credenti (e vi chiedo: secondo voi, perché?), diventano via via sempre più intolleranti. Anzi a volte si sentono persino autorizzati a deridere e disprezzare la fede stessa e chi a questa fede consacra se stesso.


Spiace doverlo ammettere, ma questa fetta di mondo, di umanità si è come accartocciata e consegnata ‘al nulla’, sostenendo con ostentata certezza che “nulla c’è stato prima di noi e nulla ci sarà dopo”.

Forse tra loro c’è chi sente ‘felicemente ateo’, c’è chi annaspa nel dubbio e poi lascia perdere, accontentandosi di ciò che può vedere e toccare. Ma c’è anche chi è stato drammaticamente sottomesso e circuito “dal principe di questo mondo”, l’antico nemico che lusinga, seduce, ti fa sentire emancipato e libero, ma che alla fine ti porge un conto salato perché ti svuota di tutto e ti dà dello sconfitto, lui che del resto può vantare vittorie solo apparenti.


Capisco che tutto questo possa sembrare quasi eccessivo, ma non dimentichiamo che molti inseguono certe idee sfrondate d’infinito solo per non lasciarsi coinvolgere dalle proposte alte ed esigenti di Gesù di Nazareth.

E finiscono per dire che non c’è rimedio per la nascita e la morte, “salvo godersi l’intervallo”, come diceva un certo filosofo.

Ma voi questo – un intervallo! – me la chiamate vita?

Lasciamo allora che il Paràclito ci ispiri e ci attiri verso beni più grandi e prospettive nuove, sature d’immenso.


Nel viaggio della vita, la fede è un dono che porti con te e che ti apre il cammino.

Ma se non la custodisci, la strada s’accartoccia e tu finisci per ripiegarti nel ‘nulla’.

E lì c’è solo la tua ombra.


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  • Immagine del redattoreComunità dell'Eremo

Dal Vangelo secondo Giovanni

Gv 15,26 - 16,4a


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:

«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l'ho detto».

 

Bene diceva sant’Agostino sulla testimonianza dello Spirito Santo e dei discepoli che lo accolgono: “Egli, lo Spirito, mi renderà testimonianza nei vostri cuori, voi con le vostre voci; egli con la sua ispirazione, voi facendo sentire la vostra voce”.

Ed è quanto oggi il Vangelo vuole dirci. Piuttosto dunque che scandalizzarci dinanzi alle contraddizioni che viviamo dentro e fuori di noi, piuttosto che rintanarci nel comodo privato di una fede fai-da-te, lasciamo parlare "lo Spirito della verità" affinché possa dire innanzi tutto al nostro cuore che siamo abitati a amati da Dio.

Avremo chi ci perseguita, anche noi come i primi cristiani: “Noi però non siamo di quelli che cedono” (Eb 10,39); anzi siamo di quelli che non rispondono mai al male con il male, ben consapevoli che “è meglio soffrire operando il bene che facendo il male” (1Pt 3,17).


Ci sarà addirittura chi ci osteggia credendo “di rendere culto a Dio”, di fargli un piacere, di dargli onore: non temiamoli, anche se ci spaventa la loro spavalda arroganza!


Soprattutto, come dice Papa Francesco:

  • “Noi non ci scandalizziamo perché non si è scandalizzato Gesù vedendo che il suo lieto annuncio di salvezza ai poveri non risuonava puro” e cozzava con le urla e le minacce di quelli che non volevano udire la sua Parola.

  • “Noi non ci scandalizziamo perché non si è scandalizzato Gesù dovendo guarire malati e liberare prigionieri in mezzo alle discussioni e alle controversie moralistiche, legalistiche, clericali che suscitava ogni volta che faceva il bene;

  • Noi non ci scandalizziamo perché non si è scandalizzato Gesù dovendo dare la vista ai ciechi in mezzo a gente che chiudeva gli occhi per non vedere o guardava dall’altra parte;

  • Noi non ci scandalizziamo perché non si è scandalizzato Gesù del fatto che la sua predicazione dell’anno di grazia del Signore – un anno che è la storia intera – abbia provocato uno scandalo pubblico in ciò che oggi occuperebbe appena la terza pagina di un giornale di provincia;

  • Noi non ci scandalizziamo perché l’annuncio del Vangelo non riceve la sua efficacia dalle nostre parole eloquenti, ma dalla forza della Croce”.


Cammineremo certamente tra le prove, ma questo sarà anche il terreno fecondo della testimonianza che darà frutto oltre ogni possibile aspettativa perché è lo Spirito che feconda la nostra vita e rende limpida e vera la nostra voce.


Facciamola dunque sentire!

Diamo fiato alla nostra voce e alla nostra fede.

Non facciamo i timidi, i paurosi, gli eterni claudicanti incapaci di camminare a testa alta, con dignità. Piuttosto sentiamoci fieri di appartenere a Cristo e pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi. (cfr. 1Pt 3,15).

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