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Per guardare la vita dall'alto

e vedere il mondo con gli occhi di Dio

COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO

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  • Immagine del redattoreComunità dell'Eremo


L’Avvento non sia solo un pungolo per impegnarsi a vigilare su noi stessi, ma anche il tempo propizio per imparare a vigilare sugli altri, ad aprire gli occhi e a tendere le mani e il cuore verso i loro bisogni.


Dal Vangelo secondo Matteo

(Mt 9,35-38-10,1.6-8)


In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.

Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.

E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

 

Evitiamo di rimanere incapsulati nella sola immagine della pecora stanca e sfinita anzi, meglio, “vessata e abbandonata”, come notifica l’evangelista Matteo. Certamente è vero che talvolta ci percepiamo e siamo come un gregge a cui manca la guida sicura e amorevole di un pastore “dal cuore integro” (Sal 78,72), capace di condurci a pascoli abbandonanti e di prendersi cura di noi senza prevaricare. Ci sentiamo dispersi, sbandati, come dice la Scrittura, "per colpa di pastori" che non vanno in cerca del gregge ma pascono se stessi senza aver cura delle pecore loro affidate.

È altrettanto vero però che, in quanto discepoli, siamo anche noi pastori. Pastori e operai, a cui Gesù affida il compito di “guarire ogni malattia e infermità”.


“Guarire”: che intende dire davvero Gesù? In greco il verbo guarire – therapeuō – non significa solo «guarire» l’altro da una malattia del corpo, ma anche «servire, accudire, curare».


Ecco cos’è che ci chiede Gesù per prolungare l’effetto terapeutico della sua presenza nel mondo: sii pronto a servire, accorri in fretta e dedicati con generosità a chi soffre, cura chi è nel bisogno. E fallo con gratuità, senza secondi fini. Solo per amore.


Ora, in ogni famiglia c’è un anello debole, qualcuno che soffre di più. Pensate agli anziani, ai malati, ma anche ai vostri figli che spesso si sentono trascurati. Sì, voi li amate, s’intende. Ma se questo amore non si fa servizio, cura, presenza, protezione, tenerezza, rischiamo di lasciarli ai margini della vita, soli, abbandonati a se stessi, soprattutto se la loro vita, quando diventa più fragile, dipende sempre più dalla nostra.

Proviamo dunque a declinare coi fatti il verbo therapeuō, senza delegare gli altri!


In tal senso, l’Avvento non sia solo un pungolo per vigilare su noi stessi (certo, è assolutamente necessario fare anche questo!), ma anche il tempo propizio per imparare a vigilare sugli altri, ad aprire gli occhi e a tendere le mani e il cuore verso i loro bisogni.





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Preparati! Ecco l’Avvento: alza il capo, anche se ti senti strizzato come uno straccio o addirittura inutile.


Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 9,27-31

In quel tempo, mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».

Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!».

Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi.

Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.

 

Giovanni Battista, dal carcere, un po’ disorientato, perplesso e vacillante nella fede, aveva inviato alcuni dei suoi discepoli da Gesù per chiedere una conferma: «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?». E Gesù aveva risposto: “Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati e i sordi odono; i morti risuscitano e il vangelo è annunciato ai poveri” (Cfr. Mt 11,2-4).


Ecco: la guarigione dei due ciechi è il segno, anche per noi oggi, che Gesù è il Messia e l’attesa è finita. Forse a parole ne siamo anche convinti, ma nel cuore dubitiamo, restiamo perplessi e, come il Battista, vacilliamo soprattutto quando, come lui, non capiamo perché Gesù non si decida ad intervenire nelle situazioni difficili che viviamo. Vorremmo che agisse da “liberatore”, come promesso dalle Scritture, ma piuttosto che i segni della sua potenza tocchiamo con mano quelli della sua debolezza e, come prolungamento e conseguenza, anche della nostra debolezza che ci fa sentire impotenti e perdenti. E ne soffriamo, barcollando nell’incredulità, talvolta persino smarrendoci.

È bene allora “ruminare” a lungo questo Vangelo che oggi ci dice con chiarezza: è Lui il liberatore, lo è davvero, ma non a modo tuo, secondo i tuoi criteri limitati, parziali, talvolta persino distorti.

Tu pensi che lui non intervenga? Niente affatto. Lui interviene sì, magari non sul tuo problema – oltretutto, eliminato questo, ne verrà fuori un altro - quanto sulla tua capacità di “aprire gli occhi” e vedere che anche per te c’è salvezza, lì tra le pieghe del problema che vivi. E lì, in quelle fatiche, Lui è con te, è la tua forza e l’unico intralcio che t’impedisce di vederlo all’opera come liberatore è solo la tua cecità. Ecco perché ti apre gli occhi.

Dunque, anziché dibatterti mettendo in discussione la sua stessa presenza nella tua vita, seguilo, grida anche tu: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Ma preparati anche a rispondere “sì” quando lui ti chiederà: “Credi che io possa fare questo?”.


Preparati! Ecco l’Avvento. Alza il capo, anche se ti senti strizzato come uno straccio o addirittura inutile. Non permettiamo assolutamente che qualcosa o qualcuno possa così tanto assorbirci e condizionarci da prosciugare la nostra fede. Non concediamo al nostro cuore di arrendersi e di chiudersi alla speranza. E soprattutto non permettiamo che le contrarietà paralizzino il nostro presente sino a renderci incapace di guardare verso l’orizzonte e scorgere i segni luminosi della Sua venuta.

Gioia e coraggio!

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Che il nostro vivere questo tempo d’Avvento sia davvero segnato da un grande salto di 'qualità': dalla sabbia alla roccia!


Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 7,21.24-27

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.

Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.

Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».

 

Rivolgendosi ai discepoli, Gesù biasima l’atteggiamento farisaico di coloro che vivono una stridente dissociazione tra fede e vita, come se fossero strabici nel cuore: sembra che dicendo “Signore, Signore” vogliano guardare a Lui e compiere la sua volontà, ma di fatto con la loro vita volgono lo sguardo e il cuore altrove, ruotando attorno ai loro interessi. Per entrare nel regno – ribadisce Gesù - non ci si può limitare ad un’invocazione verbale, bisogna fare ciò che Lui ci chiede, aderire a Lui con i fatti, fare la sua volontà.

Non sarà facile, certo, anche perché “ogni giorno, dice papa Francesco, ci presentano su un vassoio tante opzioni” più facili a cui di pancia diciamo sì. Ma la solidità della nostra fede sta tutta lì, nell’essere fedeli ai comandamenti del Signore: “Beato chi custodisce i suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. […] Nella via dei tuoi insegnamenti è la mia gioia, più che in tutte le ricchezze. Voglio meditare i tuoi precetti, considerare le tue vie” (Salmo 119).


Da questa adesione a Lui, continua a dire Gesù, si soppesano stoltezza e saggezza dell’uomo.

Chi ascolta e mette in pratica “le parole” di Gesù è l’uomo “saggio” che edifica la sua casa/vita sulla roccia, simbolo di solidità e fondatezza. Chi invece le sente ma non le attua è l’uomo “stolto”, che qui concretamente vuol dire “stupido, sciocco”, che edifica la sua casa sull’instabilità e sulla precarietà della sabbia. Instabilità e precarietà che si manifestano nel tempo della prova, della crisi e che conducono a una grande rovina.


Ora notate: la pioggia cade su tutti, saggi e stolti. Così anche i venti impetuosi non risparmiano nessuno. E voi sapete che la pioggia nella tradizione biblica è immagine del momento di crisi e i venti impetuosi alludono all’esperienza della prova. Ecco: ci passiamo tutti, sia che viviamo di fede, sia che siamo degli assenteisti dello spirito.


Cos’è che cambia allora a misura del nostro fare la volontà di Dio?

Per restare nell’immagine che Gesù pone sotto i nostri occhi, ecco cosa cambia: se fai la volontà di Dio, la casa non crolla e tu rimani saldo in essa perché le tue fondamenta poggiano su Cristo, sulla roccia dell’amore vero; se invece ti affidi alla sabbia dei tuoi sentimenti che cambiano di continuo, dei tuoi progetti sganciati da suoi, sprofondi nella rovina del non-senso e smetti di gustare la gioia vera del tuo essere “figlia/o amato”.


Il nostro cuore aspira a cose grandi che hanno un sapore d’infinito, non dimentichiamolo!

E la sabbia non può certo custodire alti ideali e legami duraturi.

Che il nostro vivere questo tempo d’Avvento sia davvero segnato da un grande salto di qualità: dalla sabbia alla roccia!

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