top of page
strisciablog.jpg

Per guardare la vita dall'alto

e vedere il mondo con gli occhi di Dio

COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO

leggi | rifletti | prega | agisci

Cerca
  • Immagine del redattoreComunità dell'Eremo


Tempo d'Avvento, tempo di scoprire/riscoprire la mia vocazione


Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 4,18-22

In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.

Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedèo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.

 

Qualche giorno fa nel vangelo abbiamo visto Gesù meravigliarsi dinanzi al centurione romano che estrae dal fodero l’arma spuntata di una fede grande. Oggi a meravigliarci siamo noi guardando Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni che subito, con prontezza, rispondono alla chiamata di Gesù.


Ai loro occhi Gesù non doveva sembrare come uno dei tanti predicatori ambulanti che allora circolavano per le vie della Palestina. Certamente ben diverso dai rabbini che se ne stavano ai crocicchi delle strade cercando di convincere i passanti ad aggregarsi alla loro scuola. Gesù preferiva muoversi, andare incontro agli altri, chiamare alla sequela "mentre camminava” lungo il litorale del lago di Tiberiade. Anzi, un testo antico riscrive: “mentre passava vicino”.


Ecco il suo stile: Gesù ti passa vicino, vicino a te e al luogo in cui vivi. Non cerca di convincerti, ma semplicemente con autorevolezza ti chiama. E questa sua autorevolezza, che s’intreccia alla più familiare prossimità, diventa un imperativo a cui non puoi opporre riserve o fare resistenza ad oltranza.


No! Non puoi sgattaiolare via a cuor leggero, a meno che tu a testa bassa non preferisca davvero continuare a riparare reti che continuamente si strappano, chino su te stesso e deciso a vivere solo per te stesso.

Senza nulla togliere alla dignità del lavoro che facciamo – magari non mancasse a nessuno! – qualunque sia la barca con cui ci procuriamo da vivere, c’è un oltre verso cui il Signore ci spinge ad andare.

Per alcuni questo significa lasciare reti e famiglia per stare con Lui e diventare pescatori di uomini; per altri può voler dire, dopo averlo incontrato: “Torna a casa tua e racconta quello che Dio ha fatto per te" (Lc 8,39).


Per tutti è innanzi tutto accorgersi di essere amati Lui, di essere stati toccati dalla sua misericordia e, con libertà interiore, decidere di prendere in mano la propria vita, tirar fuori il meglio di sé e mettersi a servizio del regno, facendo in modo creativo ciò che lui ci dirà strada facendo, passo dopo passo.


Permettetemi però di dire anche questo: come battezzati e come comunità cristiana stiamo rinunciando in modo meschino a parlare con schiettezza di vocazione, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per paura che scappino via, per evitare d’essere etichettati come antiquati. E alla fine, presi nel vortice di una logica mondana, sembra che sia più importante stare al passo dei tempi che non al passo di Gesù, il quale invece – teniamolo bene a mente! – continua a chiamare.

Capissimo finalmente che questa – come dice Papa Francesco – “è una strategia fallimentare”.

Guardiamoci dentro: “Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza” (2Tim 1,7). Raschiamo dunque ciò che rende banale e rammollita la nostra sequela e ancor più insipido il nostro annuncio. Solo così diventeremo capaci di futuro, per noi e per tanti Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni che ancora riparano reti, mentre potrebbero già essere degli entusiasti pescatori di uomini.









229 visualizzazioni
  • Immagine del redattoreComunità dell'Eremo

Avvento è anche questo: "stare" nella piccolezza evangelica, adagiati nella mangiatoia della più autentica povertà di spirito.


Dal Vangelo secondo Luca

Lc 10,21-24

In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

 

I discepoli erano appena ritornati dalla missione “pieni di gioia”: la loro predicazione era stata un successo perché persino i demòni si erano sottomessi a loro nel nome di Gesù (cfr. Lc 10, 17). Il Maestro però si affretta a direzionare altrove il loro cuore dicendo: la vostra gioia non dipenda dalla riuscita della predicazione o dagli effetti positivi e tangibili della missione: “rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10,20). È solo la consapevolezza d’essere stati scelti da Dio che colma il cuore di autentica gioia.


Ed è questa gioia che fa esultare Gesù nello Spirito Santo: guarda i suoi 72 discepoli che “in quella stessa ora” gli stanno intorno e benedice Dio perché ognuno di loro è uno di quei piccoli a cui Dio rivela se stesso, mentre palesemente mostra di non essere incline a farlo con coloro che si ritengono sapienti e dotti.


Perché? Costoro, pur essendo “abili, esperti, saggi, assennati e perspicaci” – questo è il significato dei termini “sapiente” e “dotto” nell’originale greco – con il loro atteggiamento autosufficiente e i loro pregiudizi si sono fatti fuori, autoesclusi dalla rivelazione di Dio.


…E dire che “i piccoli”, soprattutto nel vangelo di Luca, non sono soltanto i discepoli, ma anche i peccatori, gli esclusi, coloro per i quali non sprecheresti un solo complimento. Come dire: per quanto povera e misera sia la tua vita, forse anche inutile e in parte “sbagliata” (se mai si possa dire che una vita possa esserlo!), se come il pubblicano ti riconosci per quello che sei e, al contempo, riconosci Dio per quello che è, cioè misericordia, ecco che ti si aprono le porte del regno e della conoscenza. E Gesù esulta di gioia anche per te.


Questa consapevolezza rivestita d’umiltà è ciò che manca a certi dotti e sapienti: la loro vita è un dono sprecato che secca nel vaso ristretto dell'arroganza. Perché sciuparla così?


La vita dei piccoli invece, senza fare troppo rumore, può talvolta cambiare il mondo, a partire dal proprio. E ci riescono perché forse, svestiti di ogni pretesa, vanno all’essenziale. E soprattutto sanno chiedere scusa e sanno dire grazie, a Dio innanzi tutto e poi anche agli altri, perché sanno di non meritare nulla, sanno di non abitare la perfezione. Anzi, di più: non trovano niente nella sacca del cuore che possa convincerli a dire con spavalderia: “mi sono fatto da solo!”.


Cos’è allora che ancora ci tiene prigionieri nella torre dell’autosufficienza?

Cos’è che c’impedisce di essere autenticamente piccoli?

Avvento è anche questo: cercare la piccolezza evangelica adagiata nella mangiatoia della più autentica povertà di spirito.

Per esservi deposto – nella mangiatoia! – Gesù si svuotò, spogliò se stesso (Fil 2,7); noi invece abbiamo bisogno di rivestirci, di Lui però. È tempo di farlo.

180 visualizzazioni
  • Immagine del redattoreComunità dell'Eremo

Aggiornamento: 28 nov 2022



È tempo d’Avvento: non lasciamo cadere a vuoto la Parola del Signore!


Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 8,5-11

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».

Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».

Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».

 

“Gesù si meravigliò” – Solo due volte nei Vangeli si registra verbalmente la meraviglia di Gesù alla vista di qualcuno. Qui, dinanzi alla fede del centurione e poi a Nazaret di fronte all’incredulità dichiarata dei suoi compaesani. Un’incredulità così impermeabile che in mezzo a loro “non poteva compiere nessun prodigio” (Mc 6,5).

In entrambi i casi, certo, la meraviglia è più che comprensibile. Avresti mai pensato che proprio chi ti è più vicino non ti capisce, anzi ti muove guerra e cerca di metterti i bastoni tra le ruote? E di contro, avresti mai immaginato di poter essere in sintonia con qualcuno che per cultura, fede, ambiente è tanto lontano e diverso da te?

Cos’è che allora fa la differenza tra l’essere lontani o vicini? Guardate quest’uomo: un pagano, di professione soldato, con armi alla mano com’era d’obbligo in pubblico per i centurioni del tempo, va incontro a Gesù per supplicarlo di guarire il suo servo. Il testo dice che “lo scongiurava”. Notate il verbo: è all’imperfetto, esprime un’azione ininterrotta, durevole, ed è messo lì per dirci che ce la stava mettendo tutta per convincere Gesù a intervenire. Con insistenza e fiducia.


Ecco: essere vicini vuol dire fidarsi, costruire ponti, tessere dialogo. Al contrario, ciò che ci allontana dagli altri (e talvolta persino da Dio) è la diffidenza, che innalza muri e ti chiude a riccio perché ti fa vedere l’altro come una minaccia o perlomeno un incomodo. In ogni caso un estraneo.


Qui nel Vangelo la fiducia fa un salto di qualità. Smontati i pregiudizi, ti apre gli occhi e diventa fede. Questo è ciò che sperimenta il centurione, fino a riconoscere che Gesù, il taumaturgo ebreo tanto acclamato dalle folle, è “il Signore”, sebbene possiamo facilmente supporre che poco sapesse dell’attesa del Messia.

Il suo ragionare, tipico dell’ambiente militare, stila un’autentica professione di fede: c’è una gerarchia, a più livelli, e a più livelli c’è un capo che comanda e un subalterno che deve obbedire. Tu, Gesù, sei il “Signore”, ‘il capo dei capi’, e dunque hai il potere di esercitare la tua autorità sulle malattie, operando guarigioni anche a distanza. Una distanza che sembra voglia mantenere per “indegnità”: “Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.”


Ecco come fiorisce la fede: con garbo, finezza e umiltà. Direi anche con singolare agilità perché, pur facendoci sentire perennemente inadeguati, ci spinge a osare, a farci avanti, a insistere, soprattutto quando siamo sospinti dalla necessità di aiutare qualcuno che ci sta a cuore e forti nella certezza che a Lui basti dire solo una parola per mettere a posto le cose.


Allora, fin dall’inizio di questo tempo d’Avvento, meditiamo su quest’uomo d’armi conquistato alla fede, su come abbia estratto dal fodero l’unica arma spuntata che è bene stringersi al fianco: la fede, appunto. Facciamocelo amico.

In fondo un po’ già lo siamo, dal momento che ad ogni Messa, lasciandoci ispirare dalla sua stessa invocazione, diciamo: “O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”.



289 visualizzazioni

VUOI RICEVERE IL COMMENTO ALLA PAROLA DEL GIORNO SU WHATSAPP?

Se vuoi ricevere il post quotidiano della Parola del giorno su WhatsApp, compila questo modulo. Ti inseriremo nella bacheca "La Parola del giorno" da cui potrai scaricare il link.

Il tuo modulo è stato inviato!

icona-whatsapp-300x300.png
civetta_edited.png
bottom of page