Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17,1-6
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!
Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: "Sono pentito", tu gli perdonerai».
Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sràdicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi obbedirebbe».
Tre voci, in sequenza: scandalo, perdono e fede. Il filo rosso che le lega sono le nostre relazioni malate e gli appuntamenti mancati con la coerenza di vita e con le sfide della fede. Ci sono azioni e parole immorali che scioccano “i piccoli” e inducono al male: è grave che avvenga ma inevitabile, dice Gesù. E porvi rimedio non è cosa facile. Spesso ai credenti, come dice Papa Francesco riferendosi agli scandali che stanno ferendo la Chiesa, tocca “portare con fede il fardello della vergogna”.
Comprendiamo bene allora quanto sia necessario fare diagnosi chiare e ricorrere a cure costanti, a partire da noi stessi. “State attenti a voi stessi!” – dice infatti Gesù, ben sapendo che c’è il rischio di proiettare le sue parole più sul comportamento degli altri che sul nostro, rimanendo aggrovigliati nella matassa intricata degli scandali e delle colpe che altri hanno commesso e di cui noi ci sentiamo solo vittime.
Chi ferisce ha un estremo bisogno di essere raggiunto dal nostro perdono, sempre, anche se non lo sa, se non lo vuole, se non lo chiede.
Luca specifica: “se si pentirà”. Certo, è un intento educativo il suo, rivolto alle comunità del suo tempo e urgente anche per le nostre, oggi. Ma non dimentichiamo che Matteo nel suo Vangelo è ancora più audace: il perdono non dipende dal pentimento di chi ha commesso la colpa, ma dalla consapevolezza che l’altro è “il mio fratello” e dev’essere perdonato “fino a settanta volte sette” (Mt 18,21), ossia sempre e comunque. Del resto, la bellezza sfigurata del Cristo Crocifisso è questo che annuncia mentre muore gridando: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
Certo, è dura a perdonare quando la ferita subìta, l’ingiustizia sopportata, la violenza, il dolore, il torto sono grandi. E da soli sarebbe un’impresa impossibile. Ma “se aveste fede…”: ecco dove è possibile attingere la forza! Gesù, morendo, non solo ha perdonato, noi compresi, ma ci ha anche “abilitati” a perdonare. Senza per questo subire il male passivamente. Anzi, tutt’altro: chi perdona non subisce il male, ma lo vince con il bene.
E poi, diciamola tutta, quanto sarebbe triste essere in debito con qualcuno e pretendere misericordia e, al tempo stesso, essere in credito con altri e pretendere giustizia!
Se davvero desideriamo essere perdonati, facciamolo anche noi. Diversamente è come imboccare una strada senza uscita.
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