Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14,27-31a
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».
Nei suoi tre discorsi d’addio, che abbiamo meditato in questi giorni con grande commozione e gratitudine, Gesù ha rincuorato i suoi discepoli assicurando loro che non li abbandonerà. Anzi tornerà e si fermerà a vivere con loro, in modo nuovo, certo, ma altrettanto efficace e denso di consolazione grazie all’azione dello Spirito Paràclito che starà dalla loro parte insegnando e ricordando che Dio è amore. Amore che salva.
Oggi ascoltiamo le battute conclusive del suo ultimo discorso d’addio. Prima di accomiatarsi dai suoi, Gesù lascia loro in dono la sua pace – lo shālôm – che è ben più del saluto augurale e affettuoso, ma anche convenzionale, che ci si scambiava in Israele arrivando e partendo da casa.
La pace di cui parla Gesù è l’insieme dei beni che solo Dio può donare e dà fiato a un benessere che scaturisce dalla consapevolezza di essere stato raggiunti dalla sua Parola e avvolti dalla sua misericordia.
Offrendoci la pace, Gesù ci dà tutto di sé ma ci chiede anche qualcosa: avere un cuore ben disposto a fidarsi di Lui, del suo essere in mezzo a noi sempre, nel mondo e nella storia.
Sentire lo shālôm qui, alla vigilia della sua passione, non è un semplice incoraggiamento rivolto ai discepoli, ma un’eredità, che appartiene anche a noi. Eredità da tirar fuori soprattutto nel tempo della prova e della tribolazione per coltivare con fiducia la certezza della sua vittoria sul male.
Capite bene ora perché Gesù dica: “vi do la mia pace”. ‘La sua’, non quella fragile e inconsistente che scaturisce dai negoziati e dai compromessi degli uomini. Questi durano finché c’è una convenienza da sfruttare e vanno in fumo appena la prospettiva di una guerra lascia intravedere conquiste e interessi più grandi. No, non è quella la pace vera donata da Gesù. Quella purtroppo è solo una pace di plastica che cammina a braccetto con la tracotanza dei potenti, gli interessi di pochi e il dolore, l’oppressione e lo sfruttamento della povera gente.
Non possiamo allora che unirci ai tanti appelli lanciati ormai da tempo da papa Francesco e alla sua preghiera perché si spengano i tanti focolai di guerra che stanno trasformando la nostra terra in un campo minato: “Per favore, fermatevi. Si imbocchi la via del dialogo e della pace!”.
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