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Una luce sulla mia strada



Dal Vangelo secondo Luca

Lc 8,19-21

In quel tempo, andarono da Gesù la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.

Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti».

Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

 

Ieri nel Vangelo Gesù ci aveva esortati a fare discernimento sull’«ascolto»: “Fate attenzione a come ascoltate!” (Lc 8,18), “Fate anche attenzione a cosa ascoltate” (Mc 4,24). “Come ascoltate”, cioè con quale disposizione interiore. “Cosa ascoltate”, che vuole dire: c’è la parola di Dio e ci sono le parole degli uomini. La parola di Dio si accoglie con docilità, senza filtri, le “altre” parole vanno vagliate perché sono in qualche modo relative; a volte vanno addirittura scartate perché false, inconsistenti.


Oggi Gesù rafforza ulteriormente questa sua esortazione e la amplia. Due verbi fanno da perno: akoúein e poiéin. Il primo, che noi traduciamo semplicemente con «ascoltare», insiste sull’aderire e l’obbedire. Il secondo, “mettere in pratica”, in greco suona così: “fare la Parola”.


Aderire/obbedire e fare la Parola è molto, molto più di un semplice ascolto. È la nostra vita, che si mette in gioco per Cristo.

Il Vangelo non è né può essere ridotto a una nobile teoria, a un fervorino attorno a cui fare un girotondo di tanti bei propositi da esporre nella vetrina del nostro orgoglio spirituale.


Il Vangelo ci propone una scelta, un’azione concreta, e non può dunque che essere un impegno esigente, quotidiano, che rende davvero “madri” di Gesù. Madri nello stile di Maria, che il Figlio chiama beata perché è tra coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano (Lc 11,27-28).


Mi chiedo: ma quante volte abbiamo sentito e detto queste cose?


Eppure se siamo ancora qui a discuterne, se ancora ci trasciniamo svogliati e spenti tra i rovi dei nostri mancati sì, è perché la Parola non ci scalfisce davvero e non ci riempie il cuore.

Forse per un attimo, per un tempo limitato, ci lasciamo anche coinvolgere, la percepiamo per quello che è, fonte di vita, lampada per i nostri passi, luce sul nostro cammino (cfr. Sal 118), ma purtroppo è solo un entusiasmo momentaneo, che si sgretola al sopraggiungere di un altro interesse, di un altro amore che lì per lì ci affascina di più e ci seduce.

E così passiamo, tiepidi e sbiaditi, da una pagina all’altra della nostra vita con una sorta di superficiale disinvoltura, magari continuando a sentire e a dire – e questa, amici miei, è ipocrisia vestita a festa! – che "la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb 4,12).


Quando metteremo davvero radici in questa Parola, liberi e con cuore indiviso?

«La fede non è una bandiera da portarsi in gloria. È, invece, una candela accesa che si porta in mano tra pioggia e vento in una notte d’inverno» (Natalia Ginzburg).

Quando lasceremo che sia il Signore la nostra luce, anche nei giorni di pioggia e di vento, d’inverno e di buio?

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