Dal Vangelo secondo Marco
Mc 8,34 - 9,1
In quel tempo, convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro:
«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?
Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».
Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».
Poco prima Pietro aveva palesemente manifestato il suo dissenso dinanzi al primo annuncio della passione. Con il suo atteggiamento si era come messo davanti a Gesù rifiutando la via della croce: «Dio non voglia, Signore! Questo non ti avverrà mai», gli aveva detto rimproverandolo. Ma il suo goffo tentativo di ricondurre Gesù a un più sano buon senso non aveva sortito altro effetto se non quello di dover incassare una severa riprensione: “Vieni dietro a me, Satana!” (Mt 16,23).
Ora, “convocata la folla insieme ai suoi discepoli”, Gesù spiega con estrema chiarezza cosa voglia dire “vieni dietro a me”. La reazione di Pietro non poteva essere considerata un capitolo chiuso, una spiacevole parentesi presto superata, perché conoscendo il nostro cuore Gesù sa che tutti noi abbiamo le stesse pretese di Pietro: far capire al Signore le nostre ragioni e dargli suggerimenti su come fare per mettere ordine nelle vicende che viviamo. Che vuol dire concretamente metterci davanti a lui e dettare i passi del suo e del nostro cammino.
“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”: è così che Gesù rilancia il rapporto con i suoi discepoli. Chi segue lui ne condivide il destino, sempre e comunque.
Sì, la nostra vita s’intreccia con quella del Maestro ed è Lui a dare la direzione, a tracciare il cammino. Non capire questo significa rimanere intrappolati in un grande equivoco. Non si può infatti guardare la vita dal basso, a partire da noi stessi e pretendere che sia Lui a stare al nostro passo; la vita, andando dietro a Lui, si guarda e si vive dall’alto, dalla Sua prospettiva, e la meta è Gerusalemme, per Lui e per noi. Non ci sono facili scorciatoie né vie alternative.
Gerusalemme, lì dove è stata piantata la croce, la sua croce, è infatti il luogo-simbolo del dono totale di noi stessi. Lì anche noi perdiamo ogni giorno la vita e lì ogni giorno la ritroviamo rinnegando noi stessi.
È La nostra Gerusalemme. È La nostra croce.
Attenzione però, rinnegare noi stessi non vuol dire rinunciare alla nostra vita, schiacciare i nostri desideri. Tutt’altro! C’è infatti una fecondità nascosta che germoglia nella terra del mio cuore quando vinco le mie resistenze, smaschero le mie illusioni e lotto con quella parte di me che vorrebbe camminare davanti a Gesù.
Lì, prendendo la mia croce, consegnandomi a Lui, trova pieno compimento il desiderio più profondo che mi porto dentro, anche se non sempre lo riconosco: la salvezza, che fin d’ora assaporo veramente nella gioia di una vita vissuta in gratuità, nello stile del chicco di grano: “se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,24-25).
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