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Immagine del redattoreComunità dell'Eremo

Padre nostro


Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 6,7-15)


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.

Voi dunque pregate così:

Padre nostro che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno,

sia fatta la tua volontà,

come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

e rimetti a noi i nostri debiti

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

e non abbandonarci alla tentazione,

ma liberaci dal male.

Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

 

Ricordate quando nella parabola del padre misericordioso il figlio più giovane, dopo aver sperperato un patrimonio vivendo da dissoluto, decide di ritornare a casa? Si era preparato un bel discorsetto per convincere il padre a riaccoglierlo: “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati” (Lc 15,18).


Chissà quante volte lungo la via del ritorno si era ripetuto quelle parole, misurandole, limandole, con la speranza di essere convincente, “di essere ascoltato a forza di parole”. “Quando era ancora lontano – dice il testo - suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15,20). Del suo discorsetto, il giovane riesce a dire ben poco. Il padre poi non gli risponde neanche, né per sfoderare rimproveri né per chiedere spiegazioni. Gli si getta al collo e lo bacia, affrettandosi a rivestirlo della sua dignità e a far festa per lui.


Questo è ciò che accade quando preghiamo. Noi pensiamo di dover trovare le parole giuste per dialogare con Dio, magari per convincerlo ad ascoltarci ed esaudirci o forse solo perché abbiamo la pancia piena di carrube che non sfamano e cerchiamo un pane che ci sazi. Noi chiediamo cose. Anche cose buone. E se siamo lì davanti a Lui è perché ci siamo finalmente alzati e siamo usciti dal recinto dei porci per tornare a casa. Ma non immaginiamo neanche cosa ci riservi davvero l’incontro con Dio.


Il “Padre nostro” è un abbraccio.

E quando preghi così Dio ti si getta al collo perché è tuo padre.

E il tuo ritorno a Lui santifica il suo nome. Poi ti rimette l’anello al dito, i calzari ai piedi e la tunica della ritrovata dignità: quello è il suo regno che viene, la sua volontà che si compie, in cielo e finalmente anche nella terra della tua fragilità redenta. E poi spezza il pane per te e mentre dici “rimetti a noi i nostri debiti”, Lui ha già organizzato per te la festa del perdono. Eri morto e sei tornato in vita, eri perduto e Lui ti ha ritrovato: “Bisognava far festa!”.


Ti ha lasciato andare quando così hai deciso, e lo ha fatto per amore e rispetto della tua libertà, ma non ti ha abbandonato alla tentazione: sulla soglia della sua misericordia, guardando con trepidazione verso l’orizzonte della tua libertà, è rimasto ad aspettare, continuando a gettare lo sguardo sulla strada del tuo ritorno per riaverti sano e salvo a casa, libero dal male.


In questo abbraccio però – ed ecco il cuore grande di Dio! – non ci sei solo tu.

Dio è padre “nostro” e ce lo ricorda quando, come il fratello maggiore della parabola, noi ci ostiniamo a dire “tuo figlio” e non “mio fratello”, e lasciamo che prevalga la rabbia sul perdono. A quel punto è Dio che esce di casa, ci raggiunge nei nostri malanimi, e viene a pregarci: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”, "ma sentirai di esserlo davvero e di avere davvero tutto ciò che possiedo – ed io ho solo amore! – solo se capirai e accetterai con gioia che “questo è tuo fratello” (Cfr. Lc 15,31-32).


Il “Padre nostro” sia dunque la nostra preghiera nell’abbraccio dei tre: Io, Dio e mio fratello.


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