Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,1-9
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È vicino a voi il regno di Dio"».
Dedicato a Don Roberto Guernieri che con cuore di discepolo, sempre appresso "ai suoi ragazzi" del carcere di Rebibbia, diceva: "per amore bisogna sporcarsi le mani, entrare nella mischia".
Grazie, hai davvero fatto strada a Gesù!
“Designò altri settantadue e li inviò”
Vorrei ricordarvi subito qual è il significato biblico del numero settantadue così se qualcuno di voi ritenesse che questo brano è un buon vademecum per la missione destinato solo agli “addetti ai lavori” ha l’opportunità di resettare il pensiero e può disporsi meglio a sentirsi interpellato in prima persona.
Nella tradizione biblica il numero settantadue evoca tutta l’umanità. Gesù dunque designando “altri settantadue” discepoli ha voluto inviare proprio tutti coloro che credono in Lui. Ora, se siamo battezzati, se siamo cristiani, siamo discepoli, inviati tra i settantadue come messaggeri del regno di Dio.
La nostra missione comincia con l’andare a due a due davanti a Gesù verso il luogo dove Lui sta per recarsi. Sì, so che nel Vangelo ogni chiamata è segnata dall’invito a seguire Gesù e so che può sembrare un po’ eccessivo che ora Lui voglia camminare dietro a noi chiedendoci di aprirgli un varco per rendere possibile la sua venuta e l’accoglienza del suo messaggio. Eppure è questo che ci chiede fare, ma non perché siamo noi i protagonisti della missione, né perché dobbiamo annunciare noi stessi o essere autoreferenziali. Al contrario, precederlo significa sapersi abbassare perché Lui cresca nel cuore degli altri. È stato il leitmotiv della missione di Giovanni il Battista: “io sono stato mandato innanzi a lui. […] Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 28.30).
La nostra missione, poi, non è un’impresa solitaria. Si va “a due a due” per condividere, comunicare, partecipare e sostenersi a vicenda. Due significa “molti”. E nei molti c’è il cuore stesso della Chiesa. Andare a due a due significa dunque rendere visibile e credibile il regno di Dio attraverso relazioni feconde che diano una bella testimonianza di fraternità matura, solidale e responsabile. Ricordate il sommario degli Atti degli Apostoli sulla prima comunità cristiana? “Avevano un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Non a parole, ma concretamente, al punto che vedendoli i pagani con stupore dicevano: “Guardate come si amano!”.
Certo, la nostra missione non è semplice, esige una grande spogliazione: “non portate borsa, né sacca, né sandali”, ossia niente, persino di quel minimo necessario che un viaggiatore di quel tempo aveva bisogno. Attenti però: il disagio, la nudità, la mancanza di tutto ciò che può sembrare necessario non è un test o una sfida per dimostrare chi siamo e non è neanche una vetrina espositiva per farci ammirare dagli altri. Sì, il disagio ti espone, ma alla fiducia in cui Colui che ti manda, che di certo provvederà ai tuoi bisogni. E il fare a meno delle cose ti ricorda qual è la priorità durante il cammino e l’urgenza stessa del regno: bisogna arrivare in città e fare strada a Gesù.
Di questi settantadue discepoli non conosciamo il nome né il momento della loro partenza e neanche la durata della loro missione. Mi piace pensare che tutto questo voglia ricordarci ancora e meglio che non c’è un annuario, un registro dei discepoli perché davvero tutti lo siamo e non c’è un tempo per andare in missione né un tempo entro cui svolgerla perché noi in missione ci viviamo 365 giorni l’anno e siamo aperti h 24.
Oh, mi raccomando, “non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada”…non per scortesia, ma perché sia chiaro che ci vuol più di un breve saluto per fare comunione! Piuttosto bussate, entrate in casa e dite: "Pace a questa casa!". E in quella casa, per piacere, “restate!”.
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