Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,18-21
In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Le parabole ti obbligano a pensare. Qui, attraverso due immagini: il seme e il lievito. Entrambi estremamente piccoli, trascurabili forse, ma destinati diventare “cose grandi”, almeno agli occhi di Dio. Lui sì, vede bene e riconosce in un albero cresciuto quel seme nascosto che si è arreso docilmente alla terra, e nei pani sfornati quel pugnetto di lievito sparito nelle tre misure - cinquanta chili - di farina.
Il seme e il lievito raccontano la modestia gli inizi, ma ti lasciano intuire anche lo splendore della crescita. Questo è il regno di Dio: il poco, l’ordinario che a stento fatichi a vedere, ma che silenziosamente cresce, ti avvolge e ti nutre. Ed è ciò che ha incarnato Gesù, dalla piccolezza nascosta di Betlemme, dall’ordinarietà feriale di Nazareth fino all’ultimo viaggio verso Gerusalemme, come seme che muore e dà frutto. Modesto fino alla fine, mai roboante, incompreso sì, anzi di più, screditato, rigettato, fino ad essere ucciso.
In fondo questa è anche la parabola della nostra vita, di ciò che fedelmente facciamo ogni giorno con cura e premura. Cose modeste, semplici, che i più non vedono e non sanno e che mai troveranno spazio nelle prime pagine dei giornali. Eppure questo è un miracolo autentico che quotidianamente si ripete.
Penso, solo per fare un esempio, alle mamme che ogni giorno cucinano, lavano, stirano, poi vanno a lavoro, e poi tornano a casa e poi ancora, stanche, stanchissime, riprendono da dove hanno lasciato, fino a sera. Ogni giorno così. Sempre tutto uguale, piatto, monotono, ma intanto crescono, crescono loro e crescono i figli: una nuova umanità che continua ad annunciare, di generazione in generazione, che Dio è buono e grande nell’amore.
A questo proposito, sarebbe bello oggi dire GRAZIE alle persone che ci stanno vicine e che ci aiutano a crescere, magari senza che noi ne accorgiamo perché lo fanno senza far rumore o semplicemente perché le diamo per scontate nella vostra vita.
Io penso alla mia comunità, alla gente che ci vive accanto, ai miei genitori, agli educatori che ogni giorno spargono semi e curano con pazienza gli esili germogli che s’affacciano alla vita.
Capite allora, a margine di questi pensieri, quanto sia ridicolo andare in cerca di “cose grandi”, di quelle che occupano la scena del mondo, quanto banale possa essere pavoneggiarsi compiaciuti, sbavando per un riconoscimento, sgomitando per un posto in prima fila?
Capite piuttosto quanto sarebbe bello saper godere delle piccole gioie della vita, riconoscendo in ognuna di esse il seme del regno che cresce?
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