Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 15,12-17
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Siamo amici, non servi di Dio. Amici, ma potremmo anche tradurre con “amati, diletti”. L’affermazione di Gesù punta dritto al cuore, ma suscita anche qualche perplessità più che altro perché, frequentando le Scritture, abbiamo conosciuto Abramo, nostro padre nella fede, che si è qualificato come “servo del Signore”. Così Mosè, Davide e i profeti. La stessa Madre di Dio, in risposta all’annuncio dell’arcangelo Gabriele, dice: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
Essere servi del Signore è una cosa grande, un titolo riservato agli eletti di Dio. Ma Gesù alza l’asticella del nostro rapporto con Lui e ci coinvolge in un’esperienza di comunione straordinaria, ma anche esigente.
Il servo dopotutto chi è?
È uno che ascolta e obbedisce ai comandi del suo padrone. C’è un progetto da realizzare e ne diventa l’esecutore, ma il suo coinvolgimento si riduce appunto alla semplice esecuzione di un compito che gli è stato affidato. Potrà anche chiedere spiegazioni, come ha fatto Maria, per adempiere scrupolosamente il progetto di Dio; potrà cercare di convincere il ‘padrone’ a fare diversamente, come fece Mosè quando Dio decise di mandarlo dal faraone d’Egitto per liberare gli Israeliti dalla schiavitù. Ma niente di più.
Quando invece Dio da padrone diventa amico, come poi avvenne anche con Abramo e Mosè, cambia tutto perché gli parli “faccia a faccia” (Es 33,11).
L’amicizia dice intimità, confidenza, fiducia, condivisione. Come dice papa Francesco, sai “di poter rivelare all’altro la verità del cuore” senza essere giudicato e sempre accolto per quello che sei.
Nell’amicizia, poi, il progetto dell’uno diventa il progetto dell’altro non perché “devi” ma per una sintonia profonda e un’affinità di sentimenti che unisce a tal punto da far decidere entrambi di raggiungere la stessa meta, pur percorrendo strade differenti, perché ognuno è quello che è, se stesso, e l’amicizia, quella vera, fonde ma non confonde, unisce ma non appiattisce.
L’amico, infine, ama e si sente amato fino a voler la vita per l’altro senza esigere nulla, né compensi né riconoscimenti né onori. L’amicizia cerca casa nella gratuità perché mai potrebbe abitare lì dove
c’è opportunismo, sfruttamento e tornaconto.
A tutto questo allude Gesù chiamandoci ‘amici’. A dire il vero, aggiunge un “se”: “se fate ciò che io vi comando”. Ma non pensate che questo sminuisca l’amicizia riducendola ad una sudditanza finemente infiocchettata. Piuttosto sarebbe meglio ricordare che qui stiamo parlando di Dio. E l’iniziativa, il bello dell’amicizia, gli alti ideali, non possono che partire da Lui: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”.
Dunque, amicizia vera sì, ma non conquistata da noi.
Semplicemente accolta come dono.
Al fuoco del Suo amore.
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