Dal Vangelo secondo Marco
Mc 7,31-37
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Più che un sordomuto, il malato che portano davanti a Gesù è un uomo sordo che parla con difficoltà, immagine di quanti non hanno avuto ancora l’opportunità di incontrare Cristo, i pagani, ma anche di coloro che hanno deciso di non ascoltarlo e di non interloquire con Lui. La balbuzie, poi, sottolinea in modo evidente quanto inceppata sia la comunicazione, il dialogo, la relazione e l’empatia per quanti sono lontani da Dio: è come se ci fosse un impedimento nel cuore per cui anche l’amore si esprime a fatica, tartagliando in modo confuso e incostante.
Questa disabilità, nel contesto spirituale, oltre che incapacità di amare e di essere amati, diventa anche un intralcio alla fede, come ribadisce l’apostolo Paolo: “se con la tua bocca proclamerai: "Gesù è il Signore!", e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” ( Rm 10,9-10).
È interessante notare poi che non è il sordomuto a prendere l’iniziativa di incontrare Gesù. Altri lo conducono – “glielo portarono” – e altri intercedono – “lo pregarono”. È come se la sua condizione di sordo-balbuziente lo avesse privato totalmente di autonomia, rendendolo incapace di prendere iniziative e addirittura di muoversi da solo. Lo stesso Gesù, dice il testo, “lo prese in disparte” (letteralmente “portandolo lontano”), lasciandoci intendere che abbia dovuto quasi sollevarlo, quasi fosse un peso morto, e non semplicemente invitarlo.
Ce ne ricordassimo quando evangelizziamo e ci prendiamo cura dei nostri cari che faticano a muoversi verso il bene! C’è sempre bisogno che qualcuno accompagni, interceda e porti su di sé ‘il peso’ dell’altro, mettendo a servizio la propria esperienza di Dio. Certo, tutto questo è possibile solo se chi cura ed evangelizza ha davvero conosciuto il Maestro e ha davvero fatto esperienza della forza salvifica della Sua Parola. Solo chi si è percepito salvato e curato da Dio – e sa di essere miseria redenta! – può infatti a sua volta condurre a Lui e farsi mediatore di guarigione e di salvezza, in gratuità e senza presumere.
In disparte, poi, Gesù compie dei gesti emblematici, gli stessi che si compiono nel rito battesimale. Alzando gli occhi al cielo, in comunione profonda con il Padre, emette un sospiro che rivela la commozione e la compassione di Dio dinanzi “ai difetti che sfigurano la creazione”, come scrisse Rudolf Schnackenburg, un grande teologo tedesco.
E infine – bellissimo! – gli dice: “Effatà”, “apriti”, anzi, “apriti completamente”, che non è un invito e un’azione sanante rivolta solo alle orecchie (sarebbe stato troppo poco!), ma un appello rivolto a tutto l’uomo.
“Apriti completamente!” – questo oggi ci chiede il Signore. Troppe volte infatti il compasso della nostra fede è poco divaricato e finiamo per disegnare cerchi ristretti che lasciano fuori, in balia di riferimenti estranei al Vangelo, tante decisioni, visioni e scelte di vita. Non dimentichiamo che “chi ha Dio per centro, ha l'universo per circonferenza” (Eric Fromm).
Divarichiamo dunque questo compasso, apriamolo completamente affinché «tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Col 3,17).
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