Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
“Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre…” – Un momento, fermiamoci. Questa traduzione è quasi uno 'scippo'. Chi l’ha fatta voleva certamente ammorbidire la frase per renderla meno spigolosa, ma il testo originale greco usa un verbo fortissimo, misèō, che suona così: “Se uno viene a me e non odia suo padre…”. Bisogna però intenderlo bene perché qui non si esprime un atteggiamento affettivo (amare di più, amare di meno), ma è quel “rimandare indietro” come conseguenza di una scelta. Per farla breve, in questo ‘odiare’ si esprime una decisione da prendere: seguire Gesù o la famiglia. E questo vale per tutti, sempre.
Ho soppesato a lungo questo misèō - trentacinque anni fa - prima di varcare la soglia di casa per prendere i voti. E che fatica farlo comprendere ai miei genitori! Proprio perché la mettevano sul piano affettivo e si sentivano defraudati, persi, messi da parte. Ci son voluti anni prima che capissero che questa non era una rottura, ma la dura esigenza della sequela in cui il distacco è condizione necessaria per protendersi verso la meta.
Ricordo che questa intuizione l’ebbe più tardi, per primo, mio padre. Alla vigilia della mia professione religiosa mi chiamò in disparte e mi disse: “Valuta bene adesso, soppesa questo distacco, perché indietro non si torna!”. Non sia mai che della figlia si potesse dire che aveva iniziato a costruire e non era stata capace di finire il lavoro. “Indietro non si torna!”.
Ero giovane, ma mi ero seduta a calcolare la spesa! Ossia a discernere, cercando di vedere chiaro con gli occhi puntati sulle due strade che avevo dinanzi, mentre ero al bivio della vita. Fino a sceglierne una, dopo aver superato dubbi e incertezze.
Era quello che il Signore voleva, lo sentivo nel cuore. Oggi non posso dire con totale certezza quanto fossi lucida nel vedere se avessi davvero i mezzi per portare a termine la mia torre: avevo diciott’anni, tanti sogni, tanto entusiasmo, anche tanta ingenuità. Ma strada facendo, soprattutto quando la vita mi ha piegata nel tempo della prova e la torre sembrava mi stesse crollando addosso, sono rimasta in piedi grazie al pungolo costante di mio padre: “indietro non si torna!”. E così, giorno dopo giorno, ho sempre aggiunto un altro mattone.
La torre non è certo ancora finita, ma ho sempre tra mano la calce e quel misèō è diventato un canto nel cuore.
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