Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10, 22-30
Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
A Gerusalemme ricorreva la festa della Dedicazione, memoria vivissima della riconsacrazione del Tempio dopo lo scempio della profanazione operata del re siriano Antioco IV che in quel luogo santo aveva fatto offrire un sacrificio al simulacro di Zeus.
Gesù è lì tra la gente e passeggia sotto il portico di Salomone. Ad un certo punto gli si fanno intorno i giudei, quasi lo accerchiano e, dice il testo, “gli dicevano: Fino a quando ci terrai con l’animo in sospeso? Se tu sei il Messia, diccelo apertamente” (Gv 10,24).
L’evangelista annota: “era inverno” (Gv 10,22). È sempre inverno quando ci lasciamo trascinare dall’incredulità ad accerchiare la Parola di Dio sminuendola fino a soffocarla negli schemi angusti delle nostre vedute. È ancora inverno quando rifiutiamo la logica del Vangelo e, come il re Antioco, consacriamo agli idoli il tempio del nostro cuore abitato dallo Spirito.
A questo grappolo di Giudei che lo incalzano, Gesù risponde: "Ve l'ho già detto, ma non mi avete creduto”. E aggiunge, andando al nocciolo della questione: “Voi non volete credere, perché non siete delle mie pecore”. Cioè, “non ne volete far parte, vi siete tirati fuori pensando che io sia un imbroglione e un millantatore” (Gv 10,26).
Costoro non avevano né accolto né capito che Gesù è il buon pastore e, al contempo, la porta dell’ovile da cui passa la salvezza. E notate: nel linguaggio biblico la porta non indica solo un luogo di passaggio, ma spesso sta a significare la città o il tempio nel suo insieme (cfr. sal 87; 122,2). Quindi Gesù è “luogo” di salvezza, non semplicemente “via”.
Non a caso aveva detto: “io offro la vita per le pecore” (v.15). Un “offrire” che, tradotto letteralmente, significa: “deporre l’anima a favore di qualcuno”, cioè spingersi al sacrificio supremo per salvare un amico.
Questa sua offerta poi, come esprime lo stesso verbo ‘deporre’, è fatta con estrema libertà, per amore: Gesù può privarsi della vita e può riprendersela perché è il Signore della vita e della morte.
Questo avrebbero dovuto capire quei Giudei. E non solo loro.
Forse anche noi dovremmo custodire meglio, come dice Papa Francesco, “la memoria della nostra salvezza, della gratuità della salvezza e della vicinanza di Dio”.
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