Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,13-16
In quel tempo, Gesù disse:
«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».
Nel Vangelo di Luca, Gesù ripete per ben 14 volte: “Guai a te”, “Guai a voi”, ma non è un lanciafiamme di minacce e castighi per farci paura. Intende dire piuttosto: “Mi dispiace per te!”. Lo fa per metterti in guardia dalle possibili conseguenze delle tue scelte sbagliate e soprattutto per farti capire a cosa stai rinunciando. Insomma, “non sai che ti perdi!”.
Chi ama visceralmente – un padre, una madre, un amico, un educatore – questo ti dice: “Apri gli occhi!”. Talvolta dovrà farlo con severità e crudo realismo perché la posta in gioco è altissima, ma chi ama interviene per curare e costruire, non per mortificare la tua fragilità e giudicare le tue inconsistenze.
Apri gli occhi, dunque, e guarda i prodigi! La conversione parte da qui, dal ‘vedere’ finalmente quanto di buono e di bello Dio ha fatto per noi ed è l’esatto contrario della chiusura ostinata, indifferente alla fede.
Indossa, poi, un vestito di sacco e cospargiti di cenere che, nel linguaggio biblico, significa pentimento sincero, “sana tensione tra una dignitosa vergogna e una dignità che sa vergognarsi” (Papa Francesco). Non che Dio desideri umiliarti gettandoti nella polvere vestito di stracci. Al contrario, Suo desiderio è sfilarti la veste di sacco perché tu possa indossare “il vestito più bello”, tessuto di misericordia e pentimento sincero, come quello tenuto in serbo dal padre misericordioso nella parabola del figlio perduto e poi ritrovato.
E, infine, ascolta. La conversione, ben più di una buona prestazione sotto sforzo, è desiderio di riconnettersi con Lui, capacità di fare autocritica attorno al fuoco della Sua Parola, fugato l’orgoglio e la presunzione di bastare a noi stessi.
E questo è ciò che c’innalza, nella dignità ritrovata di esseri figli!
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