FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 3,13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Attraverso le ultime battute del dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo - il vangelo che abbiamo appena letto - cogliamo il senso e la bellezza della festa di oggi, esaltazione della Santa Croce.
Nicodemo, leale maestro di Israele, era andato da Gesù “di notte” in cerca di risposte perché “sapeva” che Gesù era “venuto da Dio come maestro” (Gv 3,2).
In questa indicazione temporale – “di notte” – abbiamo intravisto il desiderio profondo di quest’uomo di lasciarsi le tenebre alle spalle per andare con audacia verso la luce, ma abbiamo anche colto in questo suo agire ‘nascosto’ la fatica di accogliere il mistero di Gesù e di compromettersi per lui.
Non stupiamoci, però. La fatica di Nicodemo è anche la nostra: non è facile accogliere e vivere il mistero dell’amore infinito di Dio che “ha mandato il Figlio nel mondo perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” attraverso la sua morte in croce, luogo culmine, unico e definitivo della salvezza.
Certo, noi diciamo che la sua è una morte gloriosa, come quella del Servo di JHWH:
“Ecco, il mio servo avrà successo,
sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente.
Come molti si stupirono di lui
- tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto
e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo -,
così si meraviglieranno di lui molte nazioni;
i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito” (Is, 52,13-15).
Ma la croce, quella di Cristo e con la sua anche la nostra, resta lì, piantata nella storia, come il morso velenoso di un serpente mortifero, tra infamia e dolore, disprezzo e fallimento. E non può che essere così, perché la croce in sé ci ricorda gli effetti del veleno, il male che il peccato riesce a causare.
Cos’è che allora ci spinge ad esaltare la croce?
È il Crocifisso, che con il dono della sua vita si offre, come diceva qualcuno, come antidoto al veleno del serpente.
Unico antidoto efficace è l’amore, ricordiamocelo! E il mondo, Dio lo ha amato tanto, così tanto da offrirsi gratuitamente per tutti noi, che di quella croce siamo responsabili.
Esaltare la croce – ora lo capiamo bene – non può dunque ridursi a una pia e mesta memoria della morte di Gesù: sarebbe davvero troppo poco! Piuttosto teniamoci lontani dai serpenti che avvelenano l’esistenza e amiamo l’Amore, come disse un giorno san Francesco al contadino che gli chiedeva ragione del suo pianto:
“Fratello mio, il mio Signore è sulla Croce e mi chiedi perché piango? In questo momento vorrei essere il più grande oceano della terra per avere tutte quelle lacrime. Vorrei che si aprissero allo stesso tempo tutte le porte del mondo e le cataratte e che si scatenassero i diluvi per farmi prestare più lacrime.
Ma anche se mettessimo insieme tutti i fiumi e i mari non ci sarebbero lacrime sufficienti per piangere il dolore e l’amore del mio Signore crocifisso. Vorrei avere le ali invincibili di un’aquila per attraversare le catene montuose e gridare sulle città: ‘L’Amore non è amato!’ Com’è possibile che gli uomini possano amarsi se non amano l’Amore?”
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