Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,39-42
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Stamani, ancora all’alba, continuavo a leggere e rileggere questo vangelo. Non voglio metterla sul personale, ma oggi devo partire da qui perché la mia meditazione è stata una specie di arrampicata, tutta in salita.
L’immagine del fosso m’inquieta, percepisco d’essere ipovedente o addirittura cieca. E nel fosso non voglio certo caderci dentro tirandomi dietro anche gli altri.
Sì, ma allora oggi che dico? Dovrò pur scrivere qualcosa! Cerco di darmi pace dicendo a me stessa: “Ma tu non devi ‘guidare’ nessuno”. E tiro un respiro di sollievo.
Purtroppo dura poco perché inciampo immediatamente nel versetto successivo: “ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”. E m’inquieto di nuovo: noi siamo discepoli! E Gesù, che è l’unico maestro, conta sulla nostra 'buona preparazione'. Soppeso con un certo disagio l’espressione “ben preparato”. Ma quando mai riusciremo ad esserlo davvero!
Tacere: sì, ad un tratto mi sembra la soluzione migliore. Ma non faccio a tempo a godere di questa scappatoia, che mi viene un dubbio: è la soluzione migliore o solo la più comoda?
Cecità e mancanza di preparazione mi erano sembrate per un attimo le coordinate giuste per trovare riparo in un angoletto e lì rintanarmi con una magra consolazione: almeno qui non faccio danno!
Capisco - e il sole è già alto nel cielo - che mi sono concentrata troppo su me stessa, mentre Gesù continua a ripetermi, e lo fa per ben quattro volte, che la matassa si dipana se l’altro ai miei occhi e al mio cuore diventa un ‘fratello’ da amare piuttosto che un estraneo da giudicare: “tuo fratello”, dice Gesù.
Tutto ruota attorno a questo.
La trave dell’arroganza superba sta infatti nell’occhio di chi non ama.
E chi non ama diventa intollerante, giudica e, facendo lunghi monologhi, non vuole essere contestato. Anzi si autocompiace, sentendosi sempre migliore degli altri.
Al contrario, colui che ama non si perde nei suoi narcisistici interminabili monologhi. Cerca il dialogo, non interrompe continuamente spegnendo la voce degli altri, non zittisce con disprezzo chi non la pensa come lui. Piuttosto ascolta con cuore aperto e non diffida. Soprattutto trova sempre qualcosa di buono e di bello in tutti perché il buon tesoro del suo cuore, in Cristo e nella sua Parola, è il fratello stesso, che ha imparato a custodire come altro se stesso e come “l’altro Gesù”.
Costui, “ben preparato nel cuore”, vede in ogni fratello l’immagine di Dio. E non può che amarlo.
Costui diventa come il suo maestro, Gesù, di cui ascolta ogni giorno la Parola e se ne pasce.
Costui dunque è il buon discepolo, mai indulgente con se stesso, che ci vedrà bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del fratello.
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