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COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO

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Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 23,23-26


In quel tempo, Gesù parlò dicendo:

«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».

 

Oggi vorrei approfondire con voi il significato dell’espressione “Guai a voi”. Detto da noi suona come una minaccia ed è quasi sempre l’anticamera di una punizione. In bocca a Gesù ha invece un significato diverso: è quasi un lamento addolorato, una pena nei confronti di chi commette il male. Questa sua commiserazione parte dal cuore, è figlia della compassione perché è frutto di un amore che si fa carico dell’altro cercando di scuoterlo da una situazione penosa. È come il medico che con decisione strappa via il cerotto da una ferita. Lo strappo certo fa male, ma è l’unico rimedio possibile, l’unico che può davvero dare sollievo.


Diciamo allora che Gesù strappa via il cerotto ed espone la ferita per scuotere scribi e farisei da uno stile di vita, una mentalità, un modo di pensare, un modo di sentire, di rapportarsi con Dio, contrario al Vangelo.

Nel “guai a voi” c’è dunque soprattutto un’opportunità: convertirsi.


Dunque lì dove, nella nostra vita, c’è un blocco, un impedimento al Vangelo, una ferita d’incoerenza che rischia di diventare purulenta, dobbiamo chiedere al Signore di intervenire con decisione. La ferita va esposta, guardata e curata. E credo sia il primo passo per essere davvero “puliti” nel cuore, a partire dalla verità di noi stessi. Poi, strada facendo, anche l’esterno diventerà pulito e mostrerà attraverso segni credibili un impegno e un trasporto sincero per la giustizia, la misericordia e la fedeltà.

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Aggiornamento: 22 ago 2022


Dal Vangelo secondo Matteo

23,13-22


In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato”. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: “Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato”. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso».

 

Il vangelo di oggi ci dice una parola forte: smettiamola di fare solo prosèliti, ossia di attrarre e legare gli altri a noi e non a Cristo. Questa è stata la miopia dei farisei e rischia di essere anche la nostra, sia nel relazionarci con gli altri, sia nell’evangelizzare.


Ma che vuol dire fare solo prosèliti?

  • Fare solo prosèliti è un misero tentativo di “persuadere” a tutti i costi piuttosto che la nobile missione di “testimoniare”, con la vita soprattutto, la nostra fede, rispettando con delicatezza e discrezione la libertà dell’altro.

  • Fare solo prosèliti è un’invasione indebita dello spazio riservato allo Spirito Santo. È Dio che agisce e attira tutti a sé con la forza del suo amore. Il protagonista è Lui. Tu annunci, semini, ma è Lui che fa crescere e soprattutto è Lui che deve raccogliere i frutti.

I frutti non appartengono a noi! Una comunità cristiana non crescerà mai e mai maturerà responsabilmente se chi la guida pretende che tutti facciano un girotondo attorno a lui. Il solo desiderio da coltivare, l’unico impegno per cui spendersi dev’essere piuttosto quello di mostrare Cristo, di condurre a Lui, senza indebite intrusioni, consapevoli di essere immagini e strumenti di Cristo Pastore buono, e dunque di essere chiamati a servire e non ad essere serviti.


Allarghiamo lo sguardo però:

  • fanno solo prosèliti anche quei genitori invadenti e accentratori che soffocano i figli per mantenere il controllo, quasi ne fossero proprietari.

E più in generale, tutti noi

  • facciamo solo prosèliti quando crediamo di dover convincere e farci sentire piuttosto che ascoltare e dialogare; di dover imporre e non proporre; di doverci sostituire all’altro piuttosto che farci compagni del suo cammino.

L'alternativa è: essere discepoli con il dito puntato verso Gesù come il Battista o imbonire le folle come pifferai magici sempre in cerca di una platea da ammaliare magnificando noi stessi.


Chiediamo dunque al Signore che ci doni un cuore libero e intenzioni pure che non mirino a fare prosèliti, ma a lasciare spazio alla forza creatrice dello Spirito Santo, che libera il cuore dalle schiavitù che lo opprimono e lo rinnova. Maturi sempre più in noi la consapevolezza e la disponibilità a diventare “segni viventi dell’Amore che annunciamo”, ben sapendo che "la fede non è proselitismo" (Papa Francesco).

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XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Dal Vangelo secondo Luca

Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.

Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».

Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.

Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.

Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.

Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

 

“Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno”, “il padrone di casa chiuderà la porta”, e a voi che siete rimasti fuori dirà: “non so di dove siete”, “allontanatevi da me”.

Il vangelo odierno, a primo acchito, ci lascia allibiti perché l’evangelista Luca ci ha abituati a ragionare diversamente, lasciandoci intuire che “ciò che decide il nostro destino è la misericordia di Dio, non il nostro essere perfetti”, come sottolinea un autorevole biblista.

Che fine hanno fatto dunque le parabole della misericordia e tutti quegli “storpi, zoppi e ciechi” invitati da Gesù al banchetto del regno? Ha forse cambiato mestiere il Dio-medico venuto a curare i malati, il Dio-pastore che non si dà pace finché non ritrova la pecora smarrita, il Dio-amico che si alza di notte per dare il pane persino all’importuno, il Dio-padre che accoglie e perdona tutti, figli scapestrati e figli ingrati, chiedendo a ciascuno solo di entrare in casa e fare festa?

Niente affatto. Ma come si dice, quando ci vuole, ci vuole!

E Luca, quasi a malincuore, qui fa la voce forte. Perché?

Anche nelle prime comunità cristiane il vino buono del vangelo si era un po’ annacquato di lassismo, presunzione, supponenza, vanagloria e di una sorta di falso ottimismo che faceva credere che la salvezza si potesse ottenere a buon mercato, magari con la sola appartenenza esteriore alla comunità. Oggi diremmo: basta e avanza l’iscrizione al registro dei battezzati, qualche Messa d’occasione, una bella processione coi fuochi d’artificio, un segno della croce prima dei pasti. E via, siamo a posto!

Insomma, capite che ci voleva una strigliata (e ci vorrebbe anche oggi nelle nostre comunità!).


Queste parole forti di Luca sono dunque anch’esse “pane” e “medicina”. Ed è così che dobbiamo assumerle. L’invito pressante di Gesù – “sforzatevi!” – è dunque dettato anch’esso dalla misericordia. Sì, perché essere misericordiosi significa anche correggere e smascherare l’illusione di credersi “discepoli” pur vivendo una doppia vita e di avere sempre e comunque le carte in regola per entrare nel regno dei cieli.


In quest’ottica bisogna considerare l’immagine della porta stretta: se ti credi giusto, se pensi che la salvezza ti sia dovuta, se sei pieno di te stesso e superbo nel presumere di essere uno stinco di santo, la tua obesità spirituale t’impedirà di varcare la soglia della salvezza. E fuori casa, prima o poi, ci sarà pianto, che vuol dire: t’accorgerai di aver miseramente fallito; pianto e stridore di denti, cioè rabbia per aver capito troppo tardi di aver fatto delle scelte sbagliate.


Tuttavia – e vale la pena ricordarlo! – il Gesù di Luca non s’arrende, non s’abbassa a giocare ad oltranza la carta dell’inflessibilità, e fino alla fine, sulla croce, sfodera la sua inossidabile misericordia: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Come dire: la porta del perdono è sempre aperta, fino all’ultimo istante che ci è dato di vivere. Ma è anche vero che saremo per sempre lì dove avremo scelto di stare oggi.


È vero: forse siamo solo degli ostinati ritardatari, superficiali e riottosi. Ma se tardiamo a ‘farci piccoli’, se rimandiamo a domani “lo sforzo” di entrare per la porta stretta, perdiamo l’opportunità di godere fin da ora, nell’oggi, qui, la gioia del banchetto che è festa d’amore.

Non pensate sia uno spreco, inaccettabile persino alla sola intelligenza?

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