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COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO

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    Comunità dell'Eremo
  • 7 mar 2023


Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 20,17-28

In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà».

Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno».

Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».

Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».


Quanto sarebbe onesto e liberante uscire da quell’ambiguità che ci rende perennemente oscillanti tra due poli opposti: la gloria personale e la gloria di Dio.

La scena del Vangelo di oggi è interamente costruita sul contrasto tra il terzo annuncio della passione, morte e risurrezione di Gesù e la richiesta avanzata dalla madre di Giacomo e Giovanni: «Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno».

Questa richiesta, sollecitata dalla domanda di Gesù: «Che cosa vuoi?», suona abbastanza ambigua: di quale regno sta parlando la donna? Si riferisce alla speranza di un regno umano istituito da Gesù o all’attesa del regno di Dio, quando Cristo verrà nella gloria per dare compimento alla vittoria del bene sul male, della vita sulla morte?

Questa richiesta, poi, risulta ancor più ambigua perché è fisicamente introdotta da due verbi particolarmente evocativi: “si avvicinò”, che descrive la centralità di Gesù, e “si prostrò”, che esprime un atto di adorazione riservato soltanto a Dio.


Non ci meravigliamo però di tutto questo. In fondo, la madre di Giacomo e Giovanni ci rappresenta tutti perché anche noi oscilliamo continuamente tra il bisogno della gloria umana, dove si è "capi" e "governanti" per dominare, dove conta di più chi ha più potere, e il desiderio di appartenere ad un regno in cui Dio è il Signore e noi siamo “servitori”. Anzi, Gesù dice: “diakonos” e “doulos”.

Diakonos è colui che serve a tavola, con umiltà e disponibilità.

Doulos è lo schiavo che si sente “dipendente” dal suo padrone e soprattutto gli è fedele.


Diakonos e doulos: qualcuno, un po’ tarlato dalla mentalità di questo mondo, potrebbe sentirli come un “ruoli” negletti, mortificanti, che sminuiscono la dignità della persona. Non è così!

Diakonos e doulos è stato Gesù, il Signore, che «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».


Ciò che invece davvero mortifica è la logica della sopraffazione, e non certo quella del servizio fedele a Dio e solidale con i fratelli.


Il punto allora qual è? Direi questo: noi a quale regno vogliamo appartenere? Chi vogliamo servire/amare?

Quanto sarebbe onesto e liberante uscire da questa ambiguità che ci rende perennemente oscillanti tra due poli opposti: la gloria personale e la gloria di Dio.

 
 
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    Comunità dell'Eremo
  • 6 mar 2023

A proposito di "cattedre": non si può dare ciò che non si ha!


Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 23,1-12


In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:

«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.

Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente.

Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate padre nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.

Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Al tempo di Gesù gli scribi e i farisei stavano seduti sulla cattedra di Mosè non tanto perché fisicamente occupassero un seggio speciale nelle sinagoghe, ma perché esercitavano l’autorità ricevuta da Mosè e parlavano “ex cathedra”, con il ruolo di chi insegna, custodendo e trasmettendo i precetti della Torà. Di loro Gesù dice: “Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno”.


Chi siede in cattedra e ha autorità, non importa se su molti o su pochi, è investito di una responsabilità che va ben oltre il proprio orticello: le sue parole saranno raccolte e amplificate e di più, molto di più i suoi gesti, le sue scelte, le sue prese di posizione.


È il pastore di una comunità cristiana, è un capo di Stato, è un padre o una madre di famiglia, un educatore, un maestro? Qualunque sia la cattedra su cui siede, non può ridurla a poltrona, per sé, non può manipolare il dono ricevuto e stravolgere lo scopo della sua missione seminando confusione e provocando fratture insanabili o per lo meno difficili a ricomporsi.


Questo dobbiamo tenere a mente: portare sulle nostre spalle il giogo di Cristo significa portare su di noi il gregge che Lui ci ha affidato avendo cura che nessuno si perda e che il demone della divisione non intacchi l’unità di “un solo gregge e un solo pastore”, ardentemente desiderata da Cristo.


Un pastore che ama il suo gregge deve proteggerlo a tutti i costi, certo, ma con la sapienza che scaturisce dal Vangelo. E non può che essere una guida saggia, capace di dare la vita per coloro che gli sono stati affidati. Guai a chi pasce se stesso e a chi ingrassa il gregge per nutrire la propria avidità, come dice il profeta Ezechiele: “Così parla il Signore, Dio: Eccomi contro i pastori; io domanderò le mie pecore alle loro mani; li farò cessare dal pascere le pecore; i pastori non pasceranno più se stessi; io strapperò le mie pecore dalla loro bocca ed esse non serviranno più loro di pasto»” (Ez 34,10).


Altro che filatteri allargati e frange allungate!

Altro che posti d’onore e primi seggi!

Altro che saluti nelle piazze e smania di essere chiamati e riconosciuti “maestri”!


“Lasciamoci mettere in crisi da Cristo” – dice Papa Francesco. C’è un gregge smarrito ed è quella gente che un tempo viveva con gioia all’ombra del campanile, sono quei figli che crescevano con la schiena dritta grazie all’esempio di genitori onesti e timorati di Dio, sono quelle comunità che prosperavano attorno alla ricerca del bene comune, forti dei loro valori inossidabili: la solidarietà, l’amicizia, il rispetto, il senso del dovere.


Ma davvero vogliamo lasciarci alle spalle la ricchezza di questa nostra umanità?

Che ci sia una ritrovata coscienza del nostro ruolo nel mondo e nella storia e soprattutto della missione che abbiamo ricevuto da Dio! È tempo di stare a schiena dritta e ricominciare a essere ‘uomini’ e 'donne' sapidi di Vangelo.


Ci provochino queste parole di don Milani (in foto, con i suoi ragazzi della scuola di Barbiana): «Ecco toccato il tasto più dolente: – scrive – vibrare noi per cose alte. Tutto il problema si riduce qui perché non si può dare ciò che non si ha».

 
 
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    Comunità dell'Eremo
  • 5 mar 2023


Fa’ come il mercante, dice Gesù, sii sovrabbondante nel dare, nel perdonare e nell’amare, e Dio stesso verserà nel tuo grembo una misura traboccante di misericordia.


Dal Vangelo secondo Luca

Lc 6,36-38


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.

Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Gesù aveva appena detto: “Amate i vostri nemici e sarete figli dell’Altissimo” (v. 35). Ora aggiunge: “Siate misericordiosi, …non giudicate, …non condannate, …perdonate, …date”.

C’è una critica che condanna e uccide non solo chi la subisce ma anche chi la tesse senza misericordia. Puntare il dito e farsi giudice di un altro, fosse pure di colui che di malefatte ne ha accumulate a iosa, è sempre un gesto folle perché significa volersi sostituire a Dio e pretendere con cieca arroganza di poter entrare nella coscienza degli altri presumendo di conoscere la verità più nascosta che vi abita.

Oltre a essere una mossa incauta e superba, questa pretesa diventa anche la nostra stessa condanna perché, mettendoci al posto di Dio, andremo inevitabilmente a cozzare contro il suo giudizio: “non condannate e non sarete condannati”.

Cos’è che invece attira su di noi il perdono?

Ecco l’immagine del mercante che riempie, pigia e scuote “una buona misura” per versare sovrabbondanza di grano nel grembiule della donna che va al mercato a fare la spesa.


Fa’ come il mercante, dice Gesù, sii sovrabbondante nel dare, nel perdonare e nell’amare. Quella “bella misura” data con generosità – e dico “bella” perché questa è la logica del buono-bello che impariamo da Dio – si fa sovrabbondanza di bene anche per te. Dio stesso verserà nel tuo grembo una misura traboccante di misericordia. E sarà la ricompensa che colmerà il vuoto del tuo peccato. E il tuo grembo sarà fecondo di bene!

Con voi vorrei ricordare qui, a chiosa di questa esortazione di Gesù, le parole del Papa Benedetto XV che allo scoppio della Prima guerra mondiale non esitò a denunciare quell’«inutile strage»: “Oggi il più alto dovere della carità — e voi lo state compiendo e vi esortiamo a perseverare — è questo: adoperarsi per affratellare i diversi popoli che la guerra ha diviso, procurando che non si acuiscano gli odii, ma si attutiscano piuttosto a poco a poco con opere scambievoli di cristiana misericordia” (Legentem vestram).

Solo la misericordia potrà tirarci fuori dall’inferno di tutte le guerre a pezzi che stanno svuotando il grembo del mondo…di grano e di bene!

 
 

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