- Comunità dell'Eremo
- 10 mar 2023

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 15,1-3.11-32
In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
Dio si fa conoscere perdonando e, al di là delle logiche umane, la sua paternità reclama un modo nuovo si sentirci fratelli. A questo conduce la parabola mentre illumina a giorno il Suo volto e raccoglie i tratti finissimi della Sua tenerezza misericordiosa.
Diamo intanto un’occhiata alla dinamica delle nostre fughe da Lui: tutto comincia con la voglia di autogestirsi, con la presunta libertà di poter avere idee e progetti propri, ma sotto sotto s’insidia l’ingratitudine, l’infedeltà, il libertinaggio, la fuga fino al capolinea della solitudine, della fame e dello scoraggiamento.
Si tocca il fondo e non si vede più via d’uscita. Ma c’è un’eco nel cuore che non tace e che ti rimanda alla memoria di un volto e di un’esperienza intessuta d’amore e di tenerezza: il volto del Padre!
Nella parabola il figlio più giovane, “ritornò in sé”. Certo, attratto all’inizio forse solo dal benessere che aveva lasciato. E ora non s’aspetta altro che pane e lavoro, ma il primo passo è già fatto: ha cominciato a guardarsi dentro e a sfidare il suo orgoglio. Non si stima più ‘figlio’ ma se osa prospettarsi il ritorno è perché ha gettato lo scoraggiamento sul piatto della fiducia ed ha osato rivolgersi a colui che aveva tradito nell’amore: “Mi alzerò, andrò da mio padre”.
Qui capisci che la paternità di Dio non è una tua conquista, un tuo sforzo volontaristico, ma amore che si dona e genera alla vita, al di là delle tue risposte, oltre le tue incoerenze.
E nella parabola è proprio il volto misericordioso del Padre che segna il riscatto del figlio.
Un padre che ama di amore libero e puro: non recrimina contro la decisione del figlio, gli dà quello che gli spetta, lo lascia andare, anche se ha grande pena nel cuore. Lui si sente ed è padre, non padrone!
Un padre che attende davanti all’uscio di casa. È facile immaginare che ogni giorno vi si affacci volgendo lo sguardo con trepidazione verso l’orizzonte lontano che lo separa dal figlio perduto. Un’attesa che è dolore, ma anche fiducia, fiducia in quel figlio che – lo dice un po’ di buon senso! - forse non la meriterebbe. Noi, anzi, azzarderemmo un giudizio anche nei confronti del padre: un debole - diremmo – che non si è fatto valere!
Un padre che accoglie e perdona senza sfoderare rimproveri, senza chiedere spiegazioni, perché ama senza riserve, in gratuità … e quando si ama, si ama e basta! Non c’è da colpevolizzare, ma da promuovere, rimuovendo umiliazione e dolore. Il figlio è tornato, e anche se la sua non è ancora conversione perché è stato spinto dalla fame e non dall’amore, c’è un’umanità delusa da abbracciare, da rincuorare, da far risorgere. E questo è il primo passo per aiutare l’altro ad alzarsi: il padre sa che il peccato trascina con sé un amaro senso di colpa che avvilisce e può persino distruggere senza cambiare.
Un padre che ridà fiducia e dignità. Ecco l’anello, sigillo di grande autorità; i calzari, che contraddistinguono dai servi; la veste più bella, rivestimento di salvezza e rinascita alla vita divina. Ed infine la festa, canto di gioia e di vittoria, perché l’epilogo nella storia di quel figlio che era morto non è stato il trionfo definitivo del peccato, ma il recupero alla vita, il ritorno a casa, l’inizio di un cammino nuovo all’ombra della misericordia e dell’amore che “tutto copre, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,7).
E poi compare il figlio maggiore che, tornando dai campi si adira sentendo la festa. Secondo la sua logica è assurdo ed ingiusto che un figlio ingrato fannullone e dissipato possa essere accolto, e accolto a quel modo. Un nuovo dramma per il padre che ha già a lungo sofferto: “Tu sei sempre con me” - gli dice, per scrollarlo dalla ruggine di un ragionamento distorto e piccino.
Anche il figlio maggiore dovrà riprendere la via del ritorno a casa, lui che da casa non era mai scappato, almeno fisicamente. La sua fuga si era consumata nel cuore, nel suo modo di rapportarsi con il padre, visto in termini di calcolo: dare e avere, lavoro e ricompensa, e non di disinteresse, di affetto, in una parola, di amore vero.
E in questo nuovo dramma ci è dato di mettere ancora più a fuoco il volto del padre.
· Un padre che muove sempre il primo passo: “allora uscì a supplicarlo”.
· Un padre che dialoga e concilia: “Figlio, tu sei sempre con me”.
· Un padre che educa all’amore e al perdono: “bisognava far festa”.
Ecco il vero volto di Dio, quello che tutti cerchiamo. Qui ci è dato di cogliere che Dio non è quel padre-padrone che pretende di ridurti a servo; non è quel giustiziere che t’insegue fin quando non ti avrà fatto pagare fino all’ultimo centesimo il male che hai fatto; non è quella figura lontana che dall’alto ti giudica e ti castiga. Dio è amore.
- Comunità dell'Eremo
- 9 mar 2023

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 21, 33-43.45-46
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.
Buon senso, visione e intelligenza: la reclamano in tanti anche oggi mentre “contadini sanguinari” bastonano, uccidono e lapidano ancora per assicurarsi il dominio sulla vigna e arraffarne senza scrupoli i suoi frutti bagnati di sangue innocente.
Tristezza infinita: non ci si potrà mai rassegnare all’iniqua follia della violenza che agisce nel disprezzo della dignità dei popoli strizzando come uno straccio l’infinita pazienza di Dio!
“Avranno rispetto per mio figlio!” – dice il vignaiolo della parabola, che custodisce in cuore una grande speranza mentre agisce con intatta fiducia.
Purtroppo, “visto il figlio…lo presero lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero”.
A questo punto sembra che il sogno di Dio s’infranga definitivamente e che la malvagità salga sul podio ostentando una vittoria fraudolenta. Ma non è così e questo deve essere chiaro per tutti: “La pietra che i costruttori hanno scartato, questa è diventata la pietra d’angolo”. In forza della passione e della morte di Cristo, la vigna del Signore annuncia perennemente il suo rinnovato rigoglio:
Dio non indietreggia mai e l’amore è sempre più grande del peccato, fermo restando che il dolore e la morte non debbano mai essere considerati come “effetti collaterali” di un bene più grande, ma grido che sale a Dio e reclama giustizia sui deboli e i poveri.
Giustizia, non vendetta. E la giustizia più grande è l’eterna volontà di bene che Dio rende tangibile attraverso la sua misericordia, senza però cedere d’un passo per il bene della vigna, anzi risolutamente deciso a cercare alternative lì dove registra un netto rifiuto: “a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”.
Forse è tempo di chiedersi se anche noi, udita questa parabola, non siamo tra quei sacerdoti e farisei che “capirono che parlava di loro”.
Ci sono interrogativi fondamentali che s’avvolgono a spirale intorno alla nostra vita, mentre guardiamo con ansia alla vigna del Signore che talvolta sembra invasa e devastata dai cinghiali.
Già nel II secolo un filosofo cristiano, Clemente Alessandrino, questi interrogativi li aveva nel cuore come mosto che ribolle nel tino:
«Chi eravamo? - dice – Chi siamo diventati? Dove eravamo? Dove siamo proiettati? A che cosa tendiamo?».
- Comunità dell'Eremo
- 8 mar 2023

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma".
Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi".
E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"».
Gesù mette in scena una parabola imbastendola su una comparazione di grande effetto, rappresentata dalla condizione di due personaggi contrapposti: il povero Lazzaro e il ricco epulone.
Nei due personaggi, i volti di un’umanità troppo spesso segnata dalla più stridente diseguaglianza, tra miseria e ricchezza, ostentata opulenza e assoluta povertà.
Una condizione che Gesù s’affretta a farci percepire dal punto di vista di Dio, a partire già dall’anagrafe dei due personaggi: Lazzaro, infatti, vuol dire “Il Signore aiuta”; l’altro invece un nome non ce l’ha, è semplicemente un tale, un anonimo ricco signore, uno che forse non ha fatto niente di male, forse insensibile ai bisogni degli altri, ma – notate - anche tollerante, se così si può dire, nei confronti di quel povero a cui consentiva di stare alla sua porta per rimediare qualche avanzo. Poca cosa, certo, ma non giudichiamolo più aspramente del dovuto.
In fondo, neanche di Lazzaro possiamo dire un gran bene: era semplicemente un povero cristo. La parabola non ci dice che fosse un uomo buono e onesto, caduto purtroppo in disgrazia.
Insomma, sia chiaro: ricco non è sinonimo di cattivo e povero non è sinonimo di buono.
Comunque, nella parabola, i loro due destini, diametralmente opposti, ad un tratto, con la morte che fa da spartiacque tra la loro vicenda storica e quella ultraterrena, diventano paralleli. Solo per un momento però, lì allo spartiacque.
La nuova condizione oltre la morte, infatti, li ritrae nuovamente agli antipodi, con una differenza: ora la loro condizione è capovolta. Il povero Lazzaro che prima «giaceva disteso alla porta» dell’uomo ricco, «coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi» d’avanzi, ora viene portato dagli angeli accanto ad Abramo, mentre l’altro, dice il testo, «fu sepolto», quasi a voler dire: per lui è davvero tutto finito.
Perché dopo la morte il ricco è “nei tormenti” e il povero è accanto ad Abramo?
Gesù, provocandoci, vuol dirci semplicemente che in questo mondo l’esistenza di due classi di persone - i ricchi e i poveri – è contro il progetto di Dio.
I beni sono stati dati per tutti. Chi ne ha di più deve condividerli con chi ne ha di meno e soprattutto con chi non ha nulla, in modo che ci sia uguaglianza e nessuno abbia a soffrire l’indigenza (cf. 2Cor 8,13).
Non a caso, commentando questa parabola, sant'Ambrogio diceva: «Quando tu dai qualcosa al povero, non gli offri ciò che è tuo, gli restituisci soltanto ciò che è già suo, perché la terra e i beni di questo mondo sono di tutti, non dei ricchi».
Forse, a tal proposito, ci farà bene anche ricordare e studiare un po’ di catechismo, lì dov’è scritto: «La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della Provvidenza, per farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2404).
A questo punto non ci resta che lasciarci provocare da una domanda: come gestiamo i nostri beni (pochi o molti che siano, non importa!):
...ci teniamo stretto il nostro gruzzoletto come il ricco epulone o siamo dei saggi amministratori della Provvidenza?