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COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO

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    Comunità dell'Eremo
  • 13 mar 2023


Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 18,21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.

Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!". Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò". Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.

Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

“Quante volte dovrò perdonare?”: una questione molto discussa tra i rabbini al tempo di Gesù. Costoro, sulla scorta di alcuni episodi dell’AT, ritenevano che si dovesse perdonare fino a tre volte. Ora Pietro, rivolgendosi al Maestro, chiede: “fino a sette?”, quasi a voler dire: “...ho capito che tu sei ancora più misericordioso”.

Ma Gesù lo spiazza: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”. Cioè non solo tanto, tanto di più, ma sempre.

E ricorrendo a una parabola si affretta a motivarne la necessità.

Un re decide di rivedere i conti con i suoi funzionari perché fossero saldate tutte le pendenze. Gli presentano un servo che gli doveva una cifra da capogiro. Secondo l’uso del tempo, un debitore, non avendo da pagare, subiva la confisca dei beni ed era destinato ad essere venduto come schiavo insieme con la famiglia per saldare in qualche modo il creditore.

In questa parabola però avviene una cosa inaudita: il servo s’abbandona ad una supplica accorata e il sovrano s’impietosisce al punto che lo lascia andare concedendogli non una semplice dilazione del pagamento, come ci saremmo aspettati - e sarebbe stato già un gesto magnanimo! - ma addirittura il condono di tutto. Notate l’intensità del verbo “s’impietosì” (cioè “si commosse nelle sue viscere”) che esprime l’amore di Dio “ricco di misericordia e di compassione” (Gc 5,11) che “largamente perdona” (Is 55,7).

"La parola ‘misericordia’ – scriveva P. Turoldo – deriva dal dolore che si prova per il misero. Vi troviamo due termini: ‘miseria’ e ‘cuore’. Quando dunque la miseria altrui tocca e colpisce il tuo cuore, quella è misericordia”.

Gesù avrebbe potuto concludere così la parabola: il messaggio era già abbastanza chiaro! Ma continua il suo racconto con un repentino cambio di scena.

Il servo perdonato incontra un suo debitore che gli doveva una cifra irrisoria. Ora tocca a lui condonare il debito, ma purtroppo non lo fa. Questa sua crudeltà naturalmente ci lascia di stucco, ci fa rabbia. E non possiamo che condividere la reazione dei suoi colleghi che, addolorati, riferiscono l’accaduto al re. E questi, sdegnato, lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.


Il commento finale di Gesù a primo acchito sembra non essere più in attinenza con la domanda di Pietro. E invece lo è: “Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello”. Ve lo avevo già fatto notare tempo fa, e ora lo ripeto:

il perdono non è semplicemente un fatto di numero - quante volte? - ma di qualità: è il perdonare “di cuore” che ‘risana’ e ‘recupera’ davvero, insieme al riconoscere che dinanzi a Dio siamo tutti debitori, e di molto, perché il nostro peccato, qualunque esso sia, è sempre un debito da capogiro, un’ingratitudine penosa che bistratta l’amore del Signore.

Capite allora quanto sia importante condividere di cuore il per-dono ricevuto, sempre? Se non lo condividi, l’hai già sprecato e ti si ritorce contro, perché ti scivola via dalle mani come quando ti ostini a tenere in pugno le cose, solo per te. Se è vero che niente c’appartiene, a maggior ragione il perdono, che è gratuità accolta e offerta a piene mani.


 
 
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    Comunità dell'Eremo
  • 12 mar 2023

Aggiornamento: 13 mar 2023



Che ci piaccia o no, Dio con il suo provvido amore abbraccia tutti, e con ancor più tenerezza abbraccia i poveri, gli esclusi e tutti coloro che noi chiamiamo “stranieri”.


Dal Vangelo secondo Luca

Lc 4, 24-30

In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».


All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Facciamo un passo indietro. Qual è il contesto del brano del Vangelo che abbiamo appena letto? Nella sinagoga di Nazareth, tra i compaesani, Gesù aveva aperto il volume delle Scritture e aveva letto un testo del profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me… mi ha consacrato e mi ha mandato…a proclamare l’anno di grazia del Signore”. Riavvolto il rotolo poi aveva cominciato a dire in modo lapidario: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

Inizialmente i nazaretani sembrano entusiasti delle sue parole, ma ad un tratto - ed ecco il Vangelo di oggi - l’ammirazione si trasforma in sdegno al punto che lo cacciano fuori della città e cercano di ucciderlo.

Gli abitanti di Nazaret conoscevano certamente a memoria il libro del profeta Isaia e soprattutto il brano citato da Gesù, che era molto noto. Gesù ne aveva interrotto la lettura in un punto cruciale, lì dove il testo, dopo aver annunciato l’anno di grazia, proseguiva aggiungendo: “e a predicare un giorno di vendetta per il nostro Dio” (Is 61,2).

Questo avrebbero voluto ascoltare i compaesani di Gesù perché questa era la loro attesa più grande. Oppressi dai pagani, nel veleno del rancore e del risentimento, speravano in una vendetta capitanata da Dio stesso, una sorta di resa dei conti finale in cui Dio avrebbe fatto giustizia ‘a modo loro’.

Gesù invece parla solo di “un anno di grazia” e la sua giustizia si chiama misericordia. Ai loro occhi sembra fazioso: ma chi si crede di essere? Non è così che si leggono le Scritture!


Purtroppo la gente non aveva capito che l’antica speranza custodita nell’oracolo di Isaia andava ben oltre la rivalsa e la vendetta. Soprattutto non avevano compreso che l’amore di Dio è universale. Egli amava Israele ma amava anche la vedova di Sarèpta di Sidòne e Naamàn, il Siro, ossia i lontani, gli ultimi, i pagani.

In Lui non ci sono privilegi né preferenze e il suo provvido amore abbraccia tutti, e con ancor più tenerezza i poveri, gli esclusi e tutti coloro che noi chiamiamo “stranieri”.

Oggi, dopo duemila anni, le cose non sono poi tanto cambiate. Ci sono ancora pregiudizi latenti e talora persino manifesti. Noi stessi tante volte siamo tentati di considerare la fede come una sorta di investimento a breve termine: credo ma reclamo dei vantaggi, cerco di tirare Dio per la giacca e di tirarlo dalla mia parte.

Dico di credere, ma mi limito a sbandierare con enfasi una professione di fede che non mi converte il cuore.

E sto nella mischia come nel tiro alla fune, sfidando “i diversi” – per razza, cultura e fede – in una gara di forza ad oltranza. Possibile che ancora non riusciamo a capire che Dio non vede avversari, ma figli, sempre e comunque!

Non oso poi immaginare cosa direbbe Gesù dinanzi a certi ‘spettacoli’ in cui, piuttosto che celebrare le sue lodi e dire grazie a nome di ogni creatura, non facciamo altro che biascicare verbosità altisonanti e metterci in mostra, a volte anche solennemente abbigliati, ma vuoti dentro e rigidamente incapsulati in una religiosità ipocrita e vana. Ancora una volta tirando la fune!

Credo che Gesù farebbe con noi ciò che fece con i nazaretani: “passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. Meta: Cafarnao, oltre la nostra grettezza. E con l’unico scopo di raggiungere tutti.

 
 
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  • 11 mar 2023

Dal Vangelo secondo Giovanni

Gv 4, 5-15.19b-26.39a.40-42


In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?».

I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».

Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. Vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».

Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa».

Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». Molti Samaritani di quella città credettero in lui. E quando giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Gesù era salito a Gerusalemme per la Pasqua (cfr. Gv 2,13), suscitando tra i Giudei reazioni incredule e minacciose.

Dopo questi eventi, tra cui l’incontro notturno con Nicodemo, Gesù fa ritorno in Galilea attraversando la Samaria. Dice il testo: «Doveva attraversare la Samaria» (Gv 4,4).

Perché non percorrere invece la valle del Giordano, come facevano la maggior parte dei viandanti? Perché mai quel doveva se invece i 'veri Ebrei' – quelli di Gerusalemme – prendevano le dovute distanze da quei territori e dai loro abitanti infedeli, evitando di passare dalle loro contrade, e talora combattendoli apertamente?

La Samaria faceva parte dell'antico regno del Nord, eretico e scismatico, che si era separato ai tempi di Geroboamo nel 930 a.C. e che in seguito, conquistato dagli Assiri, aveva registrato una massiccia colonizzazione del territorio. Parte della popolazione di Samaria era stata deportata, altri erano subentrati e, con loro, culture e religioni diverse, dando vita a un forte sincretismo religioso che mescolava Bibbia e idolatria. I Samaritani, infatti, facendo da contraltare a Gerusalemme, si erano costruiti un proprio tempio sul monte Garizim.


Perché mai allora Gesù doveva attraversare quei territori visto che i Samaritani erano dei dissidenti e di dubbia fama? Non dimentichiamo che l’evangelista Giovanni, nella settimana introduttiva alla rivelazione di Gesù, colloca la testimonianza del Battista, «l’amico dello Sposo» chiamato a predisporre l’incontro tra lo Sposo e la Sposa (Gv 3, 29). E a sigillo di questa immagine nuziale, c’è la gioia ritrovata nelle nozze di Cana, attraverso il segno del «vino buono» messo in tavola dopo lo smarrimento degli uomini per il vino venuto a mancare, per la gioia perduta, per l’amore esaurito o, per lo meno, adulterato (Gv 2, 1-12).

Cristo – ecco il messaggio dell’evangelista – è lo Sposo, il «vino buono» venuto a colmare le idrie vuote della nostra umanità che ha smarrito la gioia dell’alleanza e la bellezza della fedeltà a Dio.

In questa luce dobbiamo leggere la sosta di Gesù al pozzo di Giacobbe e la necessità del suo passaggio attraverso la Samaria. Infatti, la donna Samaritana che incontrerà presso il pozzo, fin dall'inizio, appare sotto il segno del non-avere: non ha marito e quello che ha non è suo marito. In fondo, anche a lei è il vino che è venuto a mancare, è il vino che si è adulterato e la fedeltà svenduta.


Il suo non avere esprime, come altrove nel vangelo di Giovanni, uno stato di inadeguatezza e impotenza che rischia di far restare fuori dalla vita, ai suoi margini, nel ghetto squallido dell’isolamento.

Bisognava, dunque, che Gesù attraversasse la Samaria perché lo Sposo doveva proprio lì colmare un vuoto abissale e dare acqua viva, incontrare la sposa perduta e, in lei, incontrare il suo popolo.

Notate questo: la donna samaritana è annoverata tra quei personaggi evangelici che restano senza nome anche nel testo, forse affinché, guardandoli, possiamo rintracciarvi, in filigrana, la nostra storia.

Lasciamoci condurre da questa donna verso Cristo Signore, il Crocifisso risorto, che metterà a nudo le nostre perenni inquietudini per suscitare in cuore desideri più veri e più grandi.

Non sappiamo con esattezza fin dove ci porterà questo nostro 'andare': ciò che conta sarà l’agile passo con cui abbandoneremo gli amori che adulterano il cuore e la brocca delle nostre magre compensazioni, e correremo pieni di gioia verso gli altri dicendo: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?» (Gv 4, 29).
 
 

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