Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17.11-19
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
“Non si è trovato nessuno…all’infuori di questo straniero?”
“Straniero” – Chi arrivava a Gerusalemme trovava questa parola incisa sulla balaustra del tempio. Quello era il limite oltre il quale chi non era ebreo non poteva andare e chi lo faceva rischiava di essere messo a morte. Per legge. Una legge iniqua, che nulla aveva a che vedere con il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe.
Ecco perché in bocca a Gesù la parola “straniero” suscita un effetto ancora più dirompente e smantella certi sbarramenti che anche noi abbiamo issato per delimitare “gli spazi sacri” dei nostri pregiudizi.
Così anche la parola “lebbroso”, che a quel tempo era sinonimo di impurità, di peccato e di lontananza da Dio. E chi ne era affetto doveva stare lontano dalla gente, indossare abiti strappati, capo coperto e una velatura in faccia fino al labbro superiore. Soprattutto doveva segnalare la propria presenza gridando «Impuro! Impuro!».
Ora Gesù spezza questa spirale di emarginazione e annuncia, coi fatti, che dinanzi a Dio nessuno è straniero, nessuno è tagliato fuori. E tutti siamo tra quei dieci lebbrosi, fermi a distanza nei luoghi marginali del nostro peccato, incapaci di tirarci fuori da soli. Tutti. E che nessuno si senta migliore!
Se però lo accettiamo senza ostentare purezze di facciata, se anche noi ad alta voce diciamo “Signore, abbi pietà di noi!”, questo grido può diventare un nuovo inizio, in tre tappe, come annuncia il Vangelo di oggi: riconoscere, ringraziare, ricominciare.
Riconoscere è già “vedersi guariti”, fin da subito, perché la mano tesa di Dio è sempre lì in attesa della tua. E il suo amore è all’opera, sempre. Se riesci a vederlo, rinasci.
Ringraziare, poi, è voce del cuore che dà gloria a Dio e che conferma a noi stessi, ogni giorno, che la quarantena è finita e siamo finalmente liberi di amare e di essere amati, a volto scoperto, per quello che siamo: lebbrosi guariti, in debito di perenne riconoscenza con Dio e sempre pronti a ricominciare.
Sì, ricominciare! È l’ultima tappa, che inizia e si ripete ad ogni sorgere del sole quando senti che “Àlzati e va’!” è l’invito quotidiano di Dio, quello che ti butta giù dal letto ogni mattina e ti spinge a benedire il Signore per il dono della vita. Grata/o e ottimista, sempre, perché sai che Lui sta dalla tua parte, va oltre gli sbarramenti, abbatte i muri e ti salva.
Dieci lebbrosi: la nostra umanità.
Riconoscere, ringraziare, ricominciare: il nostro programma di vita. Dunque, è tempo: tiriamoci su!
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