Foto: Mellrichstadt - Cappella della Pietà.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11,1-4
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».
Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione».
Confesso che mi sento sempre un po’ impacciata a parlar di “preghiera”. Di solito cerco riferimenti solidi nell’esperienza dei mistici - uomini e donne temprati da Dio - che lungo i secoli hanno consumato le loro ginocchia e fiumi d’inchiostro per aprirci una feritoia su questo mistero.
E lì mi fermo, con stupore e timore, dicendo: “Che bello!”.
Credo che lo stupore più volte abbia sorpreso anche i discepoli alla vista di Gesù che, appartato e assorto, “si trovava in un luogo a pregare”, come riferisce ripetutamente l’evangelista Luca nel suo vangelo.
Proprio su questo oggi vorrei riflettere con voi.
Luca c’indirizza verso “un luogo” che non ha coordinate geografiche ed è senza nome.
Se sei stato in Palestina, puoi immaginarne i colori, ma per il resto lo spazio in cui Gesù prega rimane indefinito, quasi a voler facilitare la comprensione di un passaggio difficile. Questo luogo è sì uno spazio fisico, ma intuisci anche che è soprattutto uno spazio spirituale. Ed è lì che ci dobbiamo trovare, se davvero vogliamo imparare a pregare.
Questo luogo è il cuore. Ma qui non evoca la nostra vita affettiva. Va oltre ogni emozione ed è, biblicamente, lo spazio in cui la nostra personalità, libera, intelligente, capace di decidere e di scegliere, incontra Dio e si lascia guardare da Lui.
E ancora dico: “Che bello!”.
Ora, ed è forse per noi la nota dolente, Gesù “si trovava” lì. L’imperfetto di questo verbo è un pungolo: stimola e ferisce! Dice un tempo lungo, continuato e ci costringe a misurarci con i tempi striminziti e occasionali che dedichiamo alla preghiera.
La preghiera non può essere solo uno scampolo di tempo riservato a Dio, sbiadito dalla fretta e dalle distrazioni. Andando sempre di corsa, con il fiato corto, stanchi e svogliati, non possiamo custodire lo slancio del cuore né gettare lo sguardo verso Colui che, al contrario, mai distoglie i suoi occhi da noi.
E come possiamo orientare correttamente il cuore se abbiamo smarrito la bussola della Sua Parola, trascurandone l’ascolto o cedendo alla sciatta abitudine di leggerla con superficialità?
Quanto è necessario, dunque, un luogo e un tempo per pregare!
E “quando pregate, dite…”
Ecco, infine, ‘la dima’ di ogni preghiera: “Abbà, Padre!”, un’invocazione che distilla l’amore di Dio e travasa la fiducia dei figli.
Attenzione, però! Qualunque cosa diciamo in preghiera, facciamo sì che la voce si accordi al cuore e la mente si elevi altrimenti, dicessimo pure il “Padre Nostro” ad oltranza, sarebbe solo un grido muto e irriconoscente che rimane a mezz’aria, tra illusione e mediocrità.
“Signore, insegnaci a pregare!”. E pregando, a vivere.
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