top of page
strisciablog.jpg

Per guardare la vita dall'alto

e vedere il mondo con gli occhi di Dio

COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO

leggi | rifletti | prega | agisci

Cerca
  • Immagine del redattoreComunità dell'Eremo


Maria, vergine e madre; Giuseppe, vergine e padre: una testimonianza viva della grandezza smisurata di Dio, che coinvolge anche noi, nel nostro quotidiano "magnificat".


Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 1,18-24

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.

Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa "Dio con noi".

Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

 

“Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio”

“Vergine”: nella Bibbia questo termine ha un duplice significato che può essere compreso solo se entriamo in punta di piedi nella sensibilità di un mondo ormai tanto lontano dal nostro. Tra gli ebrei la verginità della donna era molto apprezzata prima del matrimonio, ma non si aveva la stessa stima per colei che rimaneva vergine per tutta la vita. Agli occhi di tutti era solo “un albero secco” (Is 56,3).


“Vergine” dunque vuol dire sì essere immacolata, senza macchia, pronta ad amare con cuore indiviso, ma anche “povera, disprezzata, priva di vita, in rovina”. Così, ad esempio, è la vergine figlia Sion di cui si legge nel Libro delle Lamentazioni: “grande come il mare la tua rovina: chi potrà guarirti?” (Lam 2,13).

Ora, ripescando alcune espressioni del Magnificat, possiamo ben comprendere che Maria si sentiva proprio così, povera, mentre magnificava Dio, il Potente, che aveva volto lo sguardo sulla sua umiliazione, liberandola e innalzandola (Cfr. Lc 1,48).


Fare memoria della sua verginità è una grande consolazione per noi perché prendiamo atto che Dio volge lo sguardo su coloro che confidano profondamente nel suo amore, su quanti gli sono fedeli e lo amano con cuore puro, fino in fondo, senza dimenticare che il Signore volge il cuore anche su quella porzione d’umanità che vive nel disprezzo e nella fragilità.


Tutti dunque, sperimentando ora l’una ora l’altra condizione, possiamo cantare quotidianamente il nostro magnificat.

Ma cosa significa a questo punto “magnificare Dio”? P. Davide Maria Turoldo lo spiegava così: “Magnifico Dio” vuol dire “apro lo spazio al Signore, la mia vita è una celebrazione divina; l’anima mia non è che una testimonianza viva della sua grandezza smisurata, nella quale veramente è dolce il naufragio” (p. Turoldo).


Dio, certo, non ha bisogno che noi lo ‘facciamo grande’. Siamo noi che, nel nostro cuore, abbiamo bisogno di tenerlo in gran conto. Pensate a Giuseppe, "vergine padre di Gesù", come lo definì Pio X: “fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore”. Ecco, noi possiamo rimpicciolirlo nel nostro cuore dicendogli “no” oppure fare ciò che piace a lui e "farlo grande in noi" aprendoci allo stupore, alla lode, alla contemplazione della sua grandezza. Concretamente, dicendo “sì” al suo amore e imparando a dire umilmente “grazie!” per ogni bene ricevuto, da Lui e dagli altri. Sempre.


234 visualizzazioni
  • Immagine del redattoreComunità dell'Eremo


La mia vita, grande o meschina che sia, oscura o luminosa, è un ramo nodoso di questa quercia maestosa su cui poggia la fiducia e la misericordia di Dio.


Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 1,1-17

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.

Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.

Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.

Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.

In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.

 

Questo brano, che Matteo ha voluto come incipit del suo vangelo, è il documento ufficiale della genealogia di Gesù in cui si certifica che il figlio di Maria è il Messia d’Israele. Non un messia angelico, spuntato come un fungo, estraneo alla famiglia umana, ma il Figlio di Dio che entra nella storia come virgulto spuntato dal tronco di Iesse (cfr. Is 11,1), germoglio di un albero genealogico fatto di uomini (e donne) impastati di terra e di fango.

Ho detto: "di uomini e donne". La presenza delle donne nelle antiche genealogie era inusuale. Nella tradizione giudaica, poi, è un’autentica novità. Di solito non facevano testo, benché nessun ramo possa spuntare né un albero genealogico crescere senza una donna che diventi grembo accogliente della vita.


Di queste donne vorrei dirvi almeno una parola. Non sono le grandi matriarche d’Israele ad essere citate, non Sara, né Rebecca né Rachele né Lia. Ad essere nominate sono Tamar e Racab, due donne della terra di Canaan, Rut la moabita e indirettamente anche Betsabea, moglie di un ittita, tutte donne accomunate da una qualche irregolarità. Tra loro, peccatrici e pagane. Insomma, un campionario di umanità segnato dal peccato, ma anche raggiunto dall’amore provvido del Dio di Abramo.


E da ultimo, Maria, che quasi rischiava di essere ripudiata da Giuseppe. Anche lei, benché preservata dal peccato, agli occhi degli uomini versa in una situazione anomala: è sì incinta per opera dello Spirito Santo ma, a quel tempo soprattutto, nella lettura piatta del pettegolezzo di quartiere avrebbe potuto essere considerata una ragazza-madre che si era presa la deplorevole libertà di restare incinta fuori dal sacro recinto del matrimonio.


Cos’è che ci prende il cuore mentre cerchiamo di seguire l’intreccio di queste storie, talora convulse, che hanno reso l’albero genealogico di Gesù come una quercia dai rami sinuosi, piegati a gomito, carichi di nodi, eppure così maestosa, resistente e direi anche abbondante e generosa?


C’è un motto latino che ben spiega cos’è che ci colpisce di questa genealogia: Frangar, non flectar!, «mi spezzerò ma non mi piegherò!». Proprio come la quercia, che rievoca Mamre e la discendenza di Abramo, le vite di questi antenati sono intrise di grandi ideali e di altrettanto grandi miserie. Dentro le loro miserie si sono come spezzati, ma mai si sono deliberatamente piegati ad un ideale più basso, mai sono rimasti ostinatamente nel fango dopo essere disgraziatamente caduti. È la loro storia e spero sia anche la nostra!

Romano Guardini scriveva: “Nei lunghi anni silenziosi a Nazareth Gesù probabilmente ha talvolta riflettuto su questi nomi. Quanto in profondità deve aver sentito che cosa vuol dire: storia degli uomini!”. Storia degli uomini, cioè “tutto quanto vi è in essa di grande, di vigoroso, di confuso, di meschino, di oscuro e di malvagio, su cui poggiava lui stesso con la sua esistenza e che lo incalzava, affinché lo accogliesse nel suo cuore, lo portasse davanti a Dio e ne assumesse le responsabilità”.


Capite allora la forza dirompente di questo vangelo? Gesù poggia anche sulla mia storia, l’accoglie nel cuore, se ne prende cura, la porta davanti a Dio e se ne assume la responsabilità. La mia vita, grande o meschina che sia, oscura o malvagia, è un ramo nodoso di questa quercia maestosa su cui poggia la fiducia e la misericordia di Dio.

403 visualizzazioni
  • Immagine del redattoreComunità dell'Eremo

Dal vangelo secondo Giovanni

Gv 5,33-36


In quel tempo, Gesù disse ai Giudei:

«Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.

Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato».

 

Ripeschiamo dai versetti precedenti il contesto del brano di oggi. Gesù è stato accusato di bestemmia perché, a dire dei Giudei, si sta arrogando l’identità di Figlio di Dio. A costoro risponde chiamando in causa Mosè che – egli dice – “ha scritto di me”, e il profeta Giovanni, che “ha dato testimonianza alla verità”.

È una vera e propria arringa difensiva, in nome della verità. Una verità limpida, supportata dai fatti. Gesù infatti porta le prove della sua assoluta fedeltà al Padre, ribadendo di compiere la sua volontà. E precisa: Giovanni era lucerna che arde e voi “avete voluto rallegrarvi alla sua luce” solo per momento. Come dire: siete andati da lui, vi siete fatti battezzare, ma non lo avete preso sul serio quando ha detto: “Viene dopo di me colui che è più forte di me; ed Egli vi battezzerà in Spirito Santo” (Mc 1, 7-8); così, superficialmente, avete confessato i vostri peccati senza cambiare vita e senza fare “frutti degni di conversione”; avete visto le “opere” del Padre e non le avete riconosciute, accecati come siete dal desiderio di “ricevere gloria gli uni dagli altri”, e piuttosto che cercare la gloria di Dio, avete cercato voi stessi rimpinzandovi d’orgoglio.


Per poi aggiungere, nei versetti successivi al nostro brano: voi che scrutate le Scritture, benché orgogliosi della Torà, non avete voluto ascoltare “il Padre che mi ha mandato”; esse parlano di me, testimoniano per me, ma voi “non volete venire da me per avere la vita”; “non avete in voi stessi l’amore di Dio”, non amate Lui e non vi amate fra voi; insomma, non accogliete me, non accogliete il Padre e neanche tra voi riuscite a farlo, divisi come siete nel cuore e nella vita.

Discorso durissimo e accorato che giunge fino a noi, oggi, mentre camminiamo tra le nebbie della dispersione convinti che tutto sia relativo e che persino Dio possa essere ‘manomesso’, riciclato o addirittura ridotto al silenzio.


È come se avessimo ostruito il fluire dell’acqua già alla fonte, negandola e riducendo la parola di Gesù a un rigagnolo che si disperde dentro la terra del nostro cuore senza dissetarci abbastanza.

Avessimo il coraggio e il desiderio di canalizzarla senza tregua, raccogliendola nell’otre del cuore come “acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14)!

Allora sentiamola finalmente questa sete e con essa il gusto di bere e di vivere camminando con gioia rinnovata verso le sorgenti della salvezza, disposti a tutto pur di essere conquistati da Cristo.

191 visualizzazioni

VUOI RICEVERE IL COMMENTO ALLA PAROLA DEL GIORNO SU WHATSAPP?

Se vuoi ricevere il post quotidiano della Parola del giorno su WhatsApp, compila questo modulo. Ti inseriremo nella bacheca "La Parola del giorno" da cui potrai scaricare il link.

Il tuo modulo è stato inviato!

icona-whatsapp-300x300.png
civetta_edited.png
bottom of page